Il dilemma del cristiano, tra giustizia e perdono: riflessione sul decreto del vescovo di Acireale di negazione delle esequie ai mafiosi

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Giustizia o perdono, invito alla conversione o misericordia? È questo il dubbio, il dilemma, che assilla qualunque cristiano. E su questa dualità si è articolato, sabato 22 giugno nella chiesa di San Rocco ad Acireale, l’incontro con il vescovo mons. Antonino Raspanti, centrato sulla pubblicazione del volume “Cultura della legalità e società multireligiosa”, curato dallo stesso mons. Raspanti e che contiene gli atti del simposio del “Cortile dei Gentili” svoltosi a Palermo nel marzo scorso.

Mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale
Mons. Antonino Raspanti, vescovo di Acireale

Ma puntato anche, e soprattutto, sulla emanazione del decreto del vescovo acese con cui si negano le esequie religiose ai mafiosi non pentiti. Il quesito sorge spontaneo tra i cristiani: ma la Chiesa non deve perdonare, tutti, sempre e comunque? E Gesù non ha predicato l’amore, non ha detto che bisogna amare anche i propri nemici? Mons. Raspanti ha chiarito subito le cose: Sì, è vero tutto questo, ma è anche vero che Dio chiede conto delle proprie azioni, e – ha sottolineato – il percorso di fede del cristiano deve passare comunque dalla croce di Cristo, e proprio Cristo, sulla croce, ha perdonato uno dei due ladroni che gli stavano a fianco, quello che si è pentito, ma non ha perdonato l’altro, quello che continuava a bestemmiare (o per lo meno i Vangeli non ne parlano). È questo il senso profondo di tale gesto simbolico, che vuole lanciare un segnale ai mafiosi, ma anche a tutti i cristiani: indurre al ripensamento, alla conversione e al pentimento. E solo così potrà scattare la misericordia divina che porta il perdono. E’ solo dopo la crocefissione e la morte che vengono la resurrezione e la Pasqua.

Come non ricordare le parole pronunciate da Giovanni Paolo II ad Agrigento nel 1993 che invitava i mafiosi a convertirsi, perché “La fede esige una chiara riprovazione della cultura della mafia, che è una cultura di morte, profondamente disumana, antievangelica, nemica della dignità della persona e della convivenza civile”. E non può quindi giustificare il funerale religioso, che dovrebbe costituire il lasciapassare per il Paradiso, per chi ha vissuto una vita dedita a tale “cultura” e non ha manifestato, in vita, nessun segno di pentimento.

La presenza all’incontro del ministro della Giustizia Anna Maria Cancellieri e del Procuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi ha sicuramente dato più forza a questo gesto simbolico, ma anche più risonanza, tant’è vero che si sono registrati numerosi commenti (anche al di fuori della diocesi acese) e numerose prese di posizione, sia a favore che contro. Ma si è pure creato, in maniera chiara e inequivocabile, un legame tra la giustizia umana e la giustizia divina, anche se ciò potrebbe andare al di là della logica divina, che è sempre imprevedibile, “nuova” e spesso “illogica” per l’uomo, come ci dimostra costantemente Cristo nelle pagine del Vangelo.

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