Acireale / Salvatore Pappalardo, unico superstite della strage di ragazzi nel ’44, racconta quella terribile esperienza

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Il 29 gennaio  il sindaco di Acireale Stefano Alì alla presenza di alunni, assessori e di un folto pubblico, ha scoperto, in piazza Agostino Pennisi, prospiciente la vecchia stazione ferroviaria, una targa in memoria dei ragazzi uccisi lì, il 21 gennaio 1944, dallo scoppio di un proiettile.
Il parroco della chiesa Carmine, don Salvatore Garozzo ha benedetto la targa, su cui è riportato un pensiero di Erodoto: “In pace i figli seppelliscono i padri, mentre in guerra sono i padri a seppellire i figli (dalle ‘Storie’)”. Seguono i nomi dei ragazzi: Cavaliere  Mario, Marano Sebastiano, Pappalardo Salvatore, Principato Sebastiano di Angelo, Principato Sebastiano di Salvatore, Privitera Paolo, Pulvirenti Mario, Pulvirenti Nicola, Santini Natale, Scandura Lucio, Scandura Salvatore. Unico superstite, Salvatore Pappalardo, che mi rilascia un’intervista raccontandomi la dolorosa storia.
Quale fu la tragica storia del 21 gennaio 1944?
Ricordo che insieme a molti ragazzi andai allo scalo dei vagoni, dove scaricavano merci, tra cui c’erano carrube macinate per lo stabilimento di pastificio “Leonardi”. Aspettavamo che gli operai ci dessero un po’ di carrube per sopravvivere, data la fame che c’era in quel tempo di terribile guerra. Io dovevo compiere dodici anni; gli altri erano tra gli undici e i 14 anni. Siccome la mattina la polizia ci aveva buttato fuori dallo scalo, vi ritornammo nel pomeriggio, ma anche stavolta la polizia ci buttò fuori, nella piazza della vecchia stazione di Acireale. Vicino all’ingresso del Castello  Pennisi di Floristella, c’erano tanti pezzi di proiettili, non esplosi, della marina americana. Ce n’erano un’infinità.

Salvatore Pappalardo, l’unico superstite

Ogni tanto veniva mandato dal Comune qualcuno a controllare, se c’era qualche proiettile con la spoletta attiva e in tal caso faceva un cerchietto con gesso bianco attorno, per indicare che non si poteva toccare. C’erano anche manifesti del Comune, che proibivano di toccare quello che c’era a terra, oggetti caduti dagli aerei. Nella piazza noi giocavamo , salendo su un cannone distrutto. C’era anche quel pomeriggio un cerchione di un camion vicino al pilastro destro del cancello del castello  e si è pensato di giocare, buttandovi dentro dei proiettili distrutti, a distanza di circa un metro. Io ero ad alcuni metri di distanza. A un certo punto qualcuno è rimasto senza proiettili, allora avendone visto uno a distanza di tre – quattro metri, disse ai compagni che l’avrebbe preso per continuare a giocare. Purtroppo il proiettile era funzionante, per cui , buttato dentro il cerchione, fece uno scoppio che uccise sul colpo sia lui che i ragazzi che erano attorno e colpì anche altri più distanti?

Foto di Fabio Consoli

Lei, quando vide i suoi amici a terra, uccisi, cosa fece?
Mi sembravano delle pecore per terra … Ho visto un camion inglese di fronte agli uffici della stazione: gli inglesi, che si trovavano nel piano superiore della stazione per controllo, misero a disposizione il camion per trasportare i cadaveri e portare all’ospedale i feriti gravi, che dopo qualche giorno o qualche ora morirono.”
Quella sera del 21 gennaio del ‘44 cosa fece?
Sono andato a casa sconvolto, con il cervello fissato sulla strage a cui avevo assistito, a pochi metri di distanza; rimasi così per tanti giorni. Avevo undici anni e facevo la quinta elementare: mia mamma mi ha detto che la scuola non era necessaria, quindi non ho preso la licenza elementare; c’era molta fame, arrostivamo anche le ghiande nella conca, dove ci riscaldavamo. Allora sono andato a lavorare in un magazzino di limoni di viale della Libertà e mangiavo limoni.
Dopo quanto tempo si è ripreso?
Dopo circa quattro o  cinque anni.

Anna Bella

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