Ai bordi della cronaca / Policoro, un progetto che è storia. Comunità cristiana, immigrati e giovani disoccupati italiani

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Nelle prime pagine di “Homo europaeus”, da poco in libreria, Paolo Prodi scrive che la storia non serve più al potereEye2014p politico, sia esso di maggioranza che di minoranza, perché per difendersi e per rafforzarsi questo potere si serve di altre scienze sociali, dalla sociologia alle scienze della comunicazione, che hanno la comune caratteristica di essere senza tempo.
La storia, afferma lo studioso, non serve ad arricchire il pensiero politico e viene lasciata alle narrazioni parziali, frammentate o romanzate.
L’amarezza e ancor più la preoccupazione per la qualità di un futuro senza memoria sono quanto mai vive, si muovono in diverse direzioni e si esprimono in diversi ambiti. La letteratura è al riguardo infinita ma basterà soffermarsi su un caso legato all’attualità: l’impegno della comunità cristiana in Italia per l’accoglienza delle persone che fuggono da Paesi travolti dal terrore, dalle ingiustizie, dall’odio e dalla miseria.
Una comunità cristiana che, secondo alcuni suoi critici, sarebbe molto attenta agli immigrati e poco attenta agli italiani.
Se la storia fosse conosciuta, un’affermazione così sbrigativa al punto di diventare infondata, verrebbe immediatamente smentita.
Vale la pena citare, a titolo di esempio, il Progetto Policoro (www.progettopolicoro.it) che compie venti anni di vita essendo nato alla fine del 1995 come realizzazione del “sogno” di un prete, don Mario Operti.
Grazie a questa intuizione si sono create alcune centinaia di iniziative imprenditoriali soprattutto nel Meridione d’Italia e si è dato lavoro a migliaia di giovani italiani in un processo di solidarietà che, nel nostro Paese, ha unito gente del Nord a gente del Sud. Si sono messe in opera, senza rumore mediatico e politico, strade nuove e soluzioni inedite al drammatico problema della disoccupazione giovanile. E si sono date anche risposte alternative a un’economia fondata esclusivamente sul profitto.
In un tempo di crisi si è costantemente sostenuta una cultura nuova fatta di fiducia e di relazioni di reciprocità, di legalità, di responsabilità. E sempre per il bene delle nuove generazioni del nostro Paese si sono anche vinte pesanti intimidazioni inflitte dalla malavita organizzata.
In venti anni sono state scritte, nel libro della dignità del lavoro giovanile in Italia, pagine di coraggio, di iniziativa, di creatività, di concretezza. Pagine di speranza.
Le hanno scritte, con i giovani coinvolti nei progetti e nei percorsi per la dignità del lavoro, molte aggregazioni laicali cristiane: una componente generativa di un popolo che non ha perso la memoria e non intende perderla di fronte a chi vorrebbe cancellare una storia, ancora feconda, di responsabilità operosa. Una storia che smentisce frettolose valutazioni e infondate sentenze di parzialità. Una storia che in un Paese di grande umanità quale è l’Italia dice che degli egoismi si deve aver paura e non della solidarietà.
E così si può aggiungere che il “Progetto Policoro” è un frutto della coscienza di quanti hanno a cuore tutto ciò che è umano.
Affermava Giuseppe Savagnone, intellettuale siciliano, che questo progetto-percorso rappresenta oggi, dopo venti anni, “un esempio di impegno pienamente laico, in cui il Vangelo fa sentire la sua presenza non all’interno del tempio ma nella vita sociale ed economica di un popolo”.
Ai bordi della cronaca sembra che questa pagina di storia ritrovata e ancora aperta possa proporsi come occasione per una riflessione senza pregiudizi e superficialità sull’impegno complessivo della Chiesa italiana nei confronti di coloro che, residenti da sempre o nuovi arrivati, sono bisognosi di parole e gesti di speranza.
È una pagina che si pone di fronte a chi ha onestà intellettuale e vuole confrontarsi libero da ideologie su un fenomeno complesso e difficile, l’immigrazione, che misura il grado dell’umanità di un Paese e del mondo.
Dopo venti anni il Progetto Policoro diventa un appello vibrante a non cancellare la storia, a non spegnere la memoria.

Paolo Bustaffa

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