Censis a sorpresa / No, l’Italia non ha chiuso bottega, grazie al ceto medio

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Anzitutto una questione di auto-percezione: pensando alla propria condizione economica attuale, il 54% degli italiani si sente ceto medio, mentre solo il 18% classe lavoratrice e il 16% ceto popolare. Ma anche la struttura dei consumi conferma che, pur nella sobrietà, resiste e reagisce. Anzi, cavalca l’esigenza di sobrietà ristrutturando consumi e investimenti. Senza disdegnare il “sommerso”.censis

Disoccupazione alta, produttività debole, giovani con poche speranze di un lavoro fisso? È la crisi che prosegue, per l’Italia e gli altri paesi “mediterranei”, il fronte debole dell’Europa. Ultimamente con l’euro più forte sul dollaro, la benzina che cala e il “quantitative easing” della Banca centrale europea che inonda le banche di denaro fresco, qualche timido segnale di recupero si è pure registrato: ad esempio è ritornata la voglia di “casa”, grazie ai mutui meno costosi. Si sa che se riparte l’edilizia, con sé poi trascina altri settori. Ma qui registriamo una ulteriore novità, questa piuttosto imprevista, visto quello che si era detto e scritto in tutti questi anni di crisi: non solo ricompare la voglia di comprare case, ma torna a farsi vivo anche il principale protagonista dell’economia del nostro paese, che era stato dato quasi per morto: il ceto medio. Proprio così, stiamo parlando di quei milioni di “colletti bianchi”, gli impiegati pubblici e privati, insieme alla parte più qualificata delle “tute blu”, i tecnici e gli operai specializzati, insieme alla terza componente, cioè gli artigiani e commercianti, che hanno rappresentato per decenni la struttura portante del lavoro italiano. Chi aveva dato per morto questo “ceto medio produttivo”, come veniva pomposamente definito dalla sociologia, se lo ritrova oggi sul palcoscenico. Lo attesta la fondazione Censis (Centro studi investimenti sociali, www.censis.it) che in una nota dei giorni scorsi parla di “ritorno del ceto medio sull’onda della sobrietà”.

Una costante della cultura italiana. Vediamo di cosa si tratta. Anzitutto una questione di auto-percezione: il Censis afferma che, pensando alla propria condizione economica attuale, il 54% degli italiani si sente ceto medio, mentre solo il 18% classe lavoratrice e il 16% ceto popolare. Tra gli insegnanti e gli impiegati la percentuale di chi si riconosce nel ceto medio lievita al 55%, e va oltre il 60% tra i pensionati e le casalinghe. Curiosamente, anche il 31% di operai e contadini si definisce ceto medio, benché poi la maggioranza di loro (il 38%) si senta classe lavoratrice. E ancora: il 53% dei cosiddetti “millennials” (cioè quei giovani nati verso la fine dello scorso millennio e proiettati del tutto su quello nuovo) si descrivono come ceto medio, mentre solo il 9% di loro identifica la propria condizione sociale come “precaria”. Da questi primi dati emerge una costante della cultura italiana: che appartenere al ceto medio vuol dire sentirsi simili alla maggioranza delle persone con cui si vive e che hanno lo stesso stile di vita (27%) nel rapporto con i soldi, nei consumi e nel modo di gestire il tempo libero. Insieme a un tuttora diffuso sentire religioso; a certi valori della famiglia tradizionale pur minacciati dalle nuove “unioni” che fanno capolino, il sentirsi “ceto medio” si ripropone come uno dei fattori di coesione più profonda, perché poggia sui valori della serietà, laboriosità, e propensione all’iniziativa economica che né la crisi economica, né le pur pesanti politiche fiscali degli ultimi anni sono finora riuscite a schiacciare.

Casa, auto, risparmio: i tre “sport” preferiti dagli italiani. Circa i tratti delineati dal Censis sul ritorno del ceto medio, la casa e il risparmio competono alla pari. Sulla casa, si nota come essa continui a rimanere il pilastro patrimoniale nazionale. Da noi, si sa, oltre il 70 per cento delle famiglie abita una casa di proprietà. Lasciare la casa ai figli è uno degli impegni più diffusi anche oggi, benché tutti siano vessati da una tassazione sul mattone decisamente spropositata, che tra l’altro è stata la causa del crollo dell’edilizia negli ultimi anni. Il Censis attesta che non solo sono ripartite le compravendite (+3,7% rispetto a un anno fa) ma i mutui hanno fatto uno scatto singolare: +13,9%. Il merito è indubbiamente dei tassi ritornati eccezionalmente bassi, per cui gli italiani si sono detti che è meglio approfittarne finché sarà possibile. Però torna anche la voglia di auto, magari di piccola cilindrata (+11,6%). E fa capolino pure uno degli “sport” nazionali più condivisi: il risparmio. Nel terzo trimestre 2014 sono stati accantonati ben 29,5 miliardi di euro: in soldoni, è come se ogni famiglia avesse risparmiato e congelato in banca 1.500 euro.

Tra evasione fiscali e consumi più sobri. Il Censis nota poi, con un certo disappunto, che permane la tendenza a poggiarsi sul “sommerso”, cioè su quel sistema di pagamenti in nero che sembra siano l’accordo tacito tra il sistema degli artigiani, professionisti ed erogatori di servizi vari (idraulici, elettricisti, imbianchini, barbieri, dentisti, specialisti vari) da un lato e i fruitori dall’altro che (purtroppo) sembrano ben lieti di risparmiare il 20 e più per cento di Iva sulle parcelle. Qui siamo in un campo difficile: per debellare l’evasione fiscale, la politica è chiamata a ideare un sistema di coinvolgimento alla pari, utilizzando quel “contrasto di interessi”, per cui a chi usufruisce di un idraulico dovrebbe convenire avere la fattura perché la scarico. È un discorso vecchio, vedremo se il governo in carica riuscirà ad affrontarlo. Infine, il Censis nota la ripresa di attività commerciali: +30.700 lo scorso anno, come differenza tra quelle chiuse e le nuove aperte. Anche questo è un buon segno. Si tratta per lo più di bar, friggitorie, pizzerie, gelaterie, paninoteche. Il capitale per avviarle è contenuto, le famiglie aiutano. È il ceto medio che rinasce, più “sobrio” certo, più semplice, per consumi più a portata di “millennials”. Ma intanto dice che l’Italia non ha chiuso bottega. Anzi, la riapre.

Luigi Crimella

 

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