Crisi semiconduttori / Perché si parla di “chip war”

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semiconduttori chip war

Dalla fine della pandemia abbiamo sempre più sentito parlare di crisi dei semiconduttori e i giornali di tutto il mondo hanno cominciato persino a parlare di “chip war”. Case automobilistiche di alto calibro come Toyota e Ford hanno chiuso alcune delle loro fabbriche. Il mercato dell’elettronica e degli elettrodomestici si è ritrovato ad affrontare uno smoderato aumento dei prezzi, complice l’inflazione. La crisi ha colpito anche il settore dei videogiochi, che alla fine del 2019 aveva un valore 145,7 miliardi di dollari e che oggi affronta la penuria di console nel mercato. Sembra, inoltre, che le tensioni tra Cina e USA possano far peggiorare la situazione già precaria.

Semiconduttori / Cosa sono e perché sono così importanti

I semiconduttori sono materiali che presentano delle caratteristiche a metà tra gli isolanti e i conduttori. Essi sono essenziali nel campo dell’elettronica in quanto indispensabili per la creazione di microprocessori. Questi, a loro volta, sono necessari per quanto riguarda il mercato delle automobili e dei computer. Il materiale più utilizzato per la creazione di questi microchip è il silicio, che dà il nome alla “Silicon valley” oggi centro globale della tecnologia high-tech. É proprio stata l’alta concentrazione iniziale di fabbricanti di semiconduttori ad attrarre le aziende di computer e software, che oggi dominano l’industria dell’alta tecnologia, nella “Valle del silicio”. I semiconduttori sono quindi indispensabili proprio perchè alla base del funzionamento di qualsiasi oggetto elettronico.

Crisi semiconduttori / Il ruolo della pandemia

Con la pandemia, e i conseguenti lockdown, l’industria dei semiconduttori si è ritrovata ad affrontare una domanda sproporzionata rispetto alle aspettative. Fino a qualche anno fa computer, smartphone ecc. erano, per la maggior parte delle persone, beni di lusso. Oggi ormai, complice lo “smart working”, sono diventati essenziali nel campo del lavoro, il che ha visto la richiesta degli utenti aumentare a dismisura. Secondo la “Semiconductor industry association”, l’associazione che rappresenta i lavoratori dell’industria dei semiconduttori negli USA, nel primo semestre del 2022 la vendita di semiconduttori ha visto un aumento 13,3% rispetto al 2021 raggiungendo la cifra di 152,5 miliardi di dollari.

È importante, inoltre, ricordare che il processo di trasformazione dei semiconduttori in microchip è molto lungo e spesso suddiviso tra aziende e paesi diversi. Le diverse misure di contenimento del covid hanno bloccato commerci e spostamenti, provocando, di conseguenza, un enorme allentamento di tutta l’industria. Le industrie stesse con la fine dei lockdown hanno inoltre avviato dei tagli di produzione in quanto si pensava che la domanda sarebbe diminuita. Come si evince dai dati non è stato così. Secondo il CEO di “intel” Pat gelsinger si raggiungerà un bilanciamento tra domanda e offerta solo nel 2023.

Crisi semiconduttori / Dagli USA a Taiwan

chip semiconduttori TSMC

L’invenzione dei primi microchip al mondo è attribuita all’azienda americana intel. Prima degli anni 2000 gli USA erano i principali produttori di microchip al mondo. Oggi, invece, ad occuparsi del 60% della produzione mondiale di microchip è Taiwan. Moltissime aziende statunitensi negli anni ’90 hanno preferito, infatti, concentrarsi sulla progettazione e la ricerca poiché meno dispendiose. Taiwan, invece, ha deciso di sfruttare l’occasione e concentrare i propri investimenti nei processi di produzione dei microchip. La “Taiwan semiconductor manufacturing company” (TSMC), infatti, si occupa della fabbricazione di microchip anche per moltissime imprese “fabless” che, invece, si concentrano solo sulla progettazione e sulla vendita dei dispositivi.

Crisi semiconduttori / La chip war tra Stati Uniti e Cina

Il mercato dei semiconduttori è quindi una garanzia per Taiwan. Sia USA che Cina dipendono da essa per l’importazione di microchip, il che pone l’isola di Formosa al centro della contesa tra i due stati. Da un lato, quindi, si assicurano che la Cina non possa attaccarli. Dall’altro, grazie ai semiconduttori, si garantiscono il sostegno degli Stati Uniti nel caso di attacco. Un blocco da parte della Cina porterebbe degli enormi danni all’economia statunitense, che si ritroverebbe senza microchip da un giorno all’altro. Le tensioni tra Cina e USA e la spinta di entrambi all’indipendenza tecnologica, però, potrebbero rompere questo “equilibrio” e rendere più fragile il cosiddetto “scudo di silicio”

Già l’ex presidente Donald Trump, alla fine del suo mandato, aveva impedito a “Huawei” di usare brevetti, strumentazione e software americani per la creazione di chip. Il 7 Ottobre 2022 il Dipartimento del commercio degli Stati Uniti ha deciso di estendere il numero di aziende non verificate cinesi. Sono state, inoltre, introdotte nuove restrizioni per quanto riguarda l’esportazione di prodotti e componenti “made in USA” in Cina. Xi Jinping stesso, durante il XX congresso del partito comunista, ha affermato l’intenzione della Cina di rendersi indipendente dal punto di vista tecnologico in modo da aggirare il “bullismo tecnologico” degli americani. Delle stesse intenzioni sono gli USA, guidati da Joe Biden, che con il “Chips and Science act” hanno stanziato 52 miliardi di dollari per la produzione di chip “made in USA” e per la ricerca. Elementi cruciali per leggere una “crisi” senza precedenti.

Francesco Guglielmino

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