Irlanda / Etichette e alcolici, un’insensata strategia per arginare i consumi esagerati

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Locanda con contadini ubriachi

Vino e olio sono le basi terapeutiche con cui gli antichi curavano i malanni: quelli che il buon Samaritano della parabola versa sulle piaghe del ferito. Si potrebbe accennare alla farmacopea enoica dei Greci o ai filosofi stoici, tutt’altro legati ai piaceri della carne. Per non parlare dei romani, che conoscevano bene le proprietà battericide del vino tanto da incidere solennemente nelle coppe bibe vivas multis annis (Bevi, vivrai molti anni). Per gli abitanti della Città del Sole di Tommaso Campanella vi erano caraffe di vini e liquori di cento e trecento anni, in grado di sanare ogni possibile malattia e infermità. E arriviamo così alla nota pubblicazione datata 1866 di Louis Pasteur Ètudes sur le vin con cui sentenzia: “Il vino è la più salutare e igienica di tutte le bevande”.

In vino salus

Questi aneddoti qualcuno potrà trovarli bizzarri, esagerati, fuori luogo, ma fanno parte della storia e come tali vanno rispettati. Perché in fondo, ancora oggi, in vino salus. D’ora in poi in Irlanda le bottiglie di alcolici, quindi anche il vino, potranno recare in etichetta alcune diciture come “il consumo di alcol provoca malattie del fegato”. Oppure “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”. Lo dico subito, usando una celebre espressione fantozziana: per me è una cagata pazzesca! Perdonatemi, ma quando ce vo’ ce vo’. Non è mia intenzione dare un giudizio medico-scientifico ma uno degli ultimi via libera di Bruxelles ci pone davanti una decisione fuorviante che rischia addirittura di aggravare un sintomo.

Etichette su alcolici: la situazione irlandese

Allora i fatti sono questi. In Irlanda bevono di brutto e sono nel pieno di un’emergenza sanitaria nazionale. Ci crediamo. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, l’Irlanda è al secondo posto nel mondo per il fenomeno del binge drinking (l’abbuffata alcolica). In tutta l’Irlanda, il consumo medio di alcol è attualmente pari a 11 litri all’anno ed è stabile dal 2015. Con un calo pari al 6,6% nel 2020, secondo dati dell’Agenzia irlandese delle dogane (Revenue commissioners).

Non so francamente fino a che punto, eccetto whiskey e birra, in queste abbuffate alcoliche irlandesi trovi spazio il vino; prendendo la notizia così com’è, mi sa tanto della storiella “ci va di mezzo chi non ha colpe”. Fatto sta che questo consumo eccessivo di bevande alcoliche ha incrementato la mortalità, soprattutto tra le fasce giovani dai 15 ai 39 anni (che lo acquistano a basso costo in negozi e market). Una misura però è stata introdotta a partire dallo scorso anno: in Irlanda vige tuttora una legge che fissa un prezzo minimo per le bevande alcoliche. Una bottiglia di vino, per esempio, costa almeno sette euro e quaranta centesimi (il prezzo è calcolato in base al volume alcolico).Pub irlandese

Etichette sugli alcolici: ripercussioni su altri Paesi Ue

Un problema non nostro,  starete pensando. Ma con la decisione di Bruxelles l’esempio irlandese potrebbe essere seguito da altri Paesi. C’è da dire che ad opporsi a questa discutibile azione dell’Unione Europea sono stati membri come Italia, Francia e Spagna. Che sono tra le nazioni più importanti per la produzione vinicola d’eccellenza. Può tradursi, allora, in un attacco diretto alle nostre eccellenze? Certo. È un clamoroso scivolone quello in cui l’Irlanda è incorso. Cioè associare una bevanda come il vino alla pari dei super alcolici, di cui gli irlandesi sono encomiabili produttori e consumatori. Le parole del ministro dell’Agricoltura e Sovranità alimentare Francesco Lollobrigida, in questo senso, ci dicono che poi in fondo gli stoici, i greci e romani, non erano solo dei matti ubriaconi. “Abbiamo quattromila anni di storia, di generazioni cresciute con uso moderato di vino in ottima salute”.

Etichette sugli alcolici: le reazioni delle associazioni di categoria

Secondo la Coldiretti, la tutela della salute dei cittadini dell’Ue “non può tradursi in decisioni semplicistiche che rischiano di criminalizzare ingiustamente singoli prodotti indipendentemente dalle quantità consumate”. Così come posti, si tratta di “messaggi allarmistici sul consumo di vino”,  è il commento del presidente di Unione italiana vini (Uiv), Lamberto Frescobaldi.
“Chi pensa che l’educazione alla sana alimentazione si faccia con etichette allarmistiche non solo sbaglia ma perpetua un approccio antiquato che, dove è stato applicato, ha sempre fallito”, ha ricordato Luigi Scordamaglia di Filiera Italia. Aldilà delle affermazioni e delle prese di posizione, ci saranno delle conseguenze anche per l’export.

Numeri importanti

L’Italia, secondo il report 2021 di Italian Trade Agency, con il 10 % è il quinto paese che esporta vino in Irlanda. Il dato si riferisce sia al canale Horeca che a quello della Grande distribuzione organizzata (Gdo). La quota europea dei vini esportati in Irlanda è del 40,5 %. Mentre quella relativa ad altri Paesi del mondo si attesta sul 59,5 % (Drinks Ireland Wine Report 2021). Per la Coldiretti il rischio è concreto: l’introduzione delle etichette raffigura “un attacco diretto all’Italia, principale produttore ed esportatore mondiale con oltre 14 miliardi di fatturato, di cui più della metà all’estero”.

Conclusioni

Non c’è molto da aggiungere. Come già affermato in precedenti contributi (leggi qui) la strada da intraprendere non è quella dell’allarmismo a priori ma della prevenzione. La bevanda superalcolica è quella con gradazione superiore a 21 gradi quindi; dunque, eccetto per qualche super Primitivo nato sotto il sole cocente della Puglia, i vini non rappresentano superalcolici. Basta con questa assimilazione che non fa altro che rendere ridicolo il confronto in materia tra i paesi membri dell’Ue. Dunque, detto ciò, chiudiamo come abbiamo aperto. Buon senso e prevenzione sono le basi terapeutiche (o almeno, dovrebbero essere) per curare i sintomi di un problema: quelli che il buon politico della realtà versa sulle piaghe del ferito.

Domenico Strano

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