Pagine di Storia / Il progetto politico del presidente degli Usa John Kennedy per un mondo senza armi e la salvaguardia del Pianeta – Prima parte

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 Prima Parte
Sono trascorsi ormai sessant’anni  dall’ 8 novembre 1960, dal giorno cioè dell’ elezione di John Kennedy a capo della Casa Bianca, e tutto quello che fa richiamare nel ricordo quell’ epoca storica, ormai distante nel tempo e passata agli archivi –  per esempio gli avvenimenti come il muro di Berlino o la crisi missilistica –  è ritenuto oggi un simbolo o un risultato della Guerra Fredda e delle contrapposizioni e divisioni delle Grandi Potenze, tipiche di quel periodo.
Il mondo, via via che è passato il tempo, ha superato altri pericoli e momenti di tensione, che pure hanno attraversato la politica delle super – potenze, nell’ arco dei trascorsi sessanta anni. Ma i problemi dell’ era nucleare e della necessità di giungere ad un progetto di disarmo completo e condiviso, da un lato, e quelli volti ad uno sviluppo globale, che si imponga come progetto etico di salvaguardia e tutela del Pianeta Terra, con la quantità delle risorse e la sua biodiversità, restano tuttavia e nonostante tutto, attuali,  proprio come lo furono all’ inizio del 1961, quando John Fitzgerald Kennedy fu eletto 35° Presidente americano.
Dunque, all’ alba dell’ 8 novembre 1960, il senatore del Massachusetts fu il vincitore della sfida per la Casa Bianca, riportando l’esiguo margine di consensi del 49,7 % contro il 49,6 % del vicepresidente uscente, Richard Nixon, ed in termini di voti, 112.000 preferenze in più dell’ avversario, su 69 milioni di elettori votanti. Per il candidato democratico, avevano espresso appoggio il 78 % dei cattolici, l’80%  della componente ebraica, il 70 % dei neri, la maggioranza delle donne. Viceversa, nel sostegno all’ esponente repubblicano, invece, si riconoscevano gli stessi democratici di destra, quasi tutti i repubblicani, nella loro generalità, gli uomini d’ affari, i petrolieri ed i militari.
C’ era stata, insomma, in quell’ elezione, una evidente separazione tra coloro che erano appagati dall’ eredità di Eisenhower e coloro che non lo erano, e questi ultimi sopravanzavano i primi per un pelo. Tra tutti coloro che desideravano un mutamento, vi erano i giovani, i poveri e tutti gli emarginati. John Kennedy, forse unico tra tutti i candidati in pista del ’60, era riuscito ad attrarre a sé quella domanda di cambiamento, serpeggiante nella società americana. Lo scrittore John Steinbeck, in quello stesso spazio di elezioni, scrisse una lettera all’ex candidato democratico delle presidenziali precedenti del ’52 e del ’56 e futuro ambasciatore ONU dell’Amministrazione Kennedy, Adlai Stevenson, nella quale affermava che “ l’ America del 1960 era invasa da una nervosa inquietudine, da una sete, da una brama di qualcosa di ignoto. “  (1)
Il nuovo presidente democratico si incamminò su un sentiero del tutto nuovo, rinunciò dunque a percorrere quello intrapreso in precedenza, preferì rompere  la tradizione e tentare di realizzare la sua “ Nuova Frontiera”.
D’ altro canto, quattordici anni prima, nel 1946, con quale spirito aveva lasciato l’ intrapresa professione giornalistica, una volta attratto dalla carriera politica ? O, per meglio dire, John Kennedy si avviò verso la carriera politica per accontentare la famiglia e per onorare la memoria del fratello maggiore, caduto nel corso del secondo conflitto e che costituiva il candidato già designato per essere avviato appunto alla  politica, oppure, fatto più verosimile, in realtà si era innamorato della vita politica, dal momento che apprezzava il mondo politico, a prescindere dalla necessità di dover comunque rappresentare il fratello maggiore Joseph e prendere il suo posto, con tutte le speranze ed ambizioni riposte in lui, anche dai familiari ?
Aveva in animo di dover fare qualcosa di buono per l’ uomo comune, assai sovente dimenticato completamente dai professionisti della politica e, quindi , l’ ipotesi di un suo “ arruolamento “ nella politica può essere vista con un anticipo sui tempi previsti, dato che comunque avrebbe abbracciato la carriera politica, sicuramente dopo un buon tirocinio nel giornalismo, esperienza quest’ ultima a cui dedicò un tempo comunque minimo nell’ arco della sua pur breve esistenza. Poteva il giornalismo costituire o rappresentare la meta definitiva della sua vita, nel significato della piena realizzazione di tutti i suoi ideali ? Sembra più logico immaginare invece che dovesse ritenersi una esperienza o tappa di preparazione e di avvio alla più importante carriera politica.

Pertanto, affrettò il suo ingresso nell’ arena nazionale e dapprima fu eletto deputato alla Camera dei Rappresentanti per uno dei Distretti di Boston, e successivamente, nel 1952, si candidò e vinse il seggio al Senato, in rappresentanza del Massachusetts.
Fu proprio nel periodo della permanenza al più elevato incarico, che si interessò ad approfondire la storia nazionale e quindi anche la ricerca della posizione di quegli otto protagonisti di essa ( presenti e passati ) che, nelle Istituzioni americane, avevano privilegiato l’ interesse nazionale, rispetto a quello dello Stato di provenienza. Dunque, rifletté sull’ interesse nazionale durante il servizio al Senato, ma si dedicò pienamente all’ interesse mondiale, quando fu eletto Presidente. Questi fondamentali valori politici che John Kennedy rese attivi nella sua persona, da senatore e poi da Presidente degli Stati Uniti, si comprendono bene nella definizione stessa che diede del coraggio e anche nell’ impegno che scoprì dentro di sé nella ricerca del conforto, della forza morale e dell’ ispirazione per la sua azione politica.
“ L’ essere coraggiosi …… non richiede nessuna qualità speciale, nessuna formula magica, nessuna speciale combinazione di tempo, luogo e circostanze. È un’occasione che, presto o tardi, si presenta a tutti noi … i racconti del coraggio passato possono definire quell’ ingrediente, possono insegnare, possono offrire speranza, possono fornire ispirazione. Ma non possono fornire il coraggio stesso. Per questo, ogni uomo, bisogna che frughi nella propria anima “. Questo fondamentale valore che il Presidente John Kennedy ebbe sempre presente all’ interno del suo animo, lo incoraggiò e sostenne indubbiamente nel Pacifico, nell’ operazione di salvataggio degli uomini della sua motosilurante, di cui era comandante, mentre veniva affondata in azione di guerra da un cacciatorpediniere giapponese, ma soprattutto alla Casa Bianca, nell’ esercizio delle funzioni presidenziali, mentre collocava al riparo la pace mondiale.
Il 20 gennaio 1961, nell’ assumere i poteri di 35° Presidente americano, aveva fatto significativo riferimento alla torcia o fiamma della difesa della libertà e dei diritti umani, “ passata ad una nuova generazione di americani, nati nello stesso secolo, temprati da una pace dura ed amara “ ma non per questo meno coraggiosi di quelli precedenti.
La prima fondamentale constatazione o primo messaggio basilare fu : “ L’ uomo detiene nelle sue mani mortali il potere di abolire ogni forma umana di miseria ed ogni forma di vita”. Era, quindi, l’ uomo a dover scegliere quale delle due parti d’impegno rendere disponibile : la costruzione di un Pianeta in cui la ricchezza fosse distribuita equamente tra tutte le classi, o la distruzione addirittura dell’intero Pianeta in una guerra nucleare. Ma, a ben vedere, non occorre solamente l’ impegno ad abolire gli armamenti nucleari, è necessario un definito, fattivo e decisivo sforzo per abolire le sperequazioni sul Pianeta, perché dal fattore ineguaglianza ( ed ingiustizia sociale ) deriva il conflitto locale ( o la guerra generale).
Il problema denunciato dal Presidente Kennedy nell’atto introduttivo del suo mandato, all’ inizio degli anni ’60, è più che mai attuale oggi, dal momento che sono in discussione gli stessi temi : controllo ed abolizione di tutti gli armamenti nucleari e lotta alla povertà. Il futuro del mondo in cui viviamo oggi e vivranno dopo i nostri successori dipenderà dal modo in cui si porteranno a soluzione questi importantissimi argomenti.
Il primo Ordine esecutivo presidenziale ebbe riguardo al raddoppio delle razioni alimentari per i quattro milioni di cittadini americani, privi di sostegno economico. La Casa Bianca ruppe la cupa indifferenza con cui il Paese cercava di dimenticare la dura realtà della sussistenza di un’ altra America. A questo immediato intervento, fecero seguito altre misure a sostegno del Paese marginale, quali l’ aumento del salario minimo, l’ estensione temporanea del sussidio di disoccupazione, i piani d’ intervento per le aree depresse del Paese, l’ importante riforma fiscale, il piano per tagliare la spesa pubblica inutile, superflua od improduttiva, il rigido controllo dei prezzi e dei salari, la pubblica concertazione tra le industrie ed i sindacati dei lavoratori e l’ incoraggiamento dello stesso Presidente.
Non si può certo affermare che Jack Kennedy sia stato un Presidente “ dirigista “ in economia, solo per il fatto di avere auspicato – con l’ essersi reso parte attiva – la concertazione tra i prezzi e i salari. In altra parte dell’ allocuzione dell’ insediamento, il Capo della Casa Bianca promise una significativa “ lealtà di amici fedeli “ agli alleati, in quanto “ uniti molto potremo fare in una serie di nuove imprese comuni “.  Questi propositi – insieme con l’intento che il giovane Presidente americano raggiunse ed in pratica mise in atto, di coinvolgere nel fattivo sostegno all’ Amministrazione, col ruolo di consiglieri sulle diverse discipline, politiche o economiche, ovvero scientifiche, il gruppo d’ intellettuali che era disponibile pure temporaneamente a lasciare per un breve periodo la carriera accademica – ­­­favorirono la circolazione di idee e proposte nuove ed originali, su tutti i problemi ricevuti in eredità dalla precedente Amministrazione.
Il Capo dell’ Esecutivo, dal canto proprio, preparò apertamente l’ ideazione di nuovi suggerimenti e strategie di politica estera, introducendo nei rapporti con gli Alleati europei la filosofia politica ancorata alla partnership, all’ interdipendenza ed alla unione economica internazionale. Le nuove aperture economiche degli Stati Uniti furono fondamentalmente dettate dalla necessità che la rinascita economica, che si stava diffondendo in Europa tra la fine degli anni ’50 e l’ inizio dei ’60, potesse condurre ad un pieno sollievo e completo miglioramento dello stile e delle condizioni stesse di vita delle classi lavoratrici. La realizzazione di quelle condizioni era poi destinata a tradursi – nel corso degli anni ’60 – in termini elettorali, in uno spostamento di consensi politici dai conservatori ai progressisti, cosa che poi avvenne, in Gran Bretagna, Germania Occidentale ed Italia. In vista di questo ipotetico sviluppo di avvenimenti futuri, la nuova Amministrazione Kennedy intraprese contatti politici – che si aggiungevano a quelli normali ed istituzionali con i partiti al momento al governo dei diversi Paesi – anche con le forze politiche collocate all’ opposizione, e ciò avvenne, per esempio, con l’ inglese Hugh Gaitskell, col tedesco Willy Brandt ed in Francia, con Mendès France e Gaston Deferre.
Più articolato, invece, ed approfondito – e perciò anche più importante – si rivelò il rapporto politico tra la nuova Casa Bianca ed il nostro Paese.

LA POSIZIONE DELL’ITALIA E L’IMPORTANTE RUOLO NELLA POLITICA   ESTERA ASSEGNATO DAL PRESIDENTE DELLA “NUOVA FRONTIERA “

Sui temi della partnership, interdipendenza ed unione economica, tra le due sponde dell’ Atlantico, la nuova Amministrazione democratica iniziò subito a prendere importanti e significative iniziative di chiara discontinuità col precedente Esecutivo repubblicano. Come primo passo, inviò Averell Harriman, ambasciatore itinerante, per assicurarsi di persona sulla situazione politica interna italiana, attraversata da insicurezze e debolezze per le continue crisi dei governi a guida democristiana, dal momento che essi rimanevano in carica, in pratica, solo per pochi mesi e denunciavano anche in tal modo l’ incapacità di portare a compimento, facendole approvare dal Parlamento, alcune necessarie riforme, specialmente in materia economica, utili a rendere più competitivo il Paese.

Ing. Enrico Mattei

Fu allora, all’inizio del ’61 e nel contesto del suo soggiorno romano, che – tra tutte le autorità viste nell’occasione – l’ ex governatore di New York ed ex ambasciatore a Mosca, incontrò pure il Presidente dell’ E.N.I. , on. le ing. Enrico Mattei, a quel tempo molto criticato, attaccato ed avversato dal cartello petrolifero delle seven sisters, per le iniziative e gli accordi conclusi in Medio Oriente, nel giusto disegno però di dover assicurare comunque all’ Italia, in piena crescita economica, (quando si parla di “ miracolo italiano “, non si fa altro che alludere al “ miracolo Mattei “ ) le riserve energetiche fondamentali ( petrolifere e metanifere ) di cui aveva bisogno. Dal dialogo con i vertici ENI, Harriman trasse il convincimento delle buone ragioni della politica dell’ Ente di Stato unite alla visione, limpida e lungimirante, dei rapporti internazionali, prospettata dal Presidente dell’ ENI.
In precedenza, come osservò esattamente Arthur Schlesinger, “ l’ atteggiamento degli U.S.A., prima dell’ avvento di Kennedy era stato risolutamente contrario all’ apertura a sinistra. ….  l’ Amministrazione Eisenhower non si fidava di Nenni, nel quale vedeva un neutralista, se non addirittura ‘ un compagno di strada dei comunisti ‘ e non voleva riforme economiche e sociali in Italia “.  ( 2 ) Per quanto riguardava, invece, le pressioni politiche, esercitate dal cartello economico sull’ Amministrazione repubblicana, aventi come scopo d’ influire su Enrico Mattei e convincerlo della necessità di doversi astenere per il futuro, da iniziative ritenute dagli oligopolisti “ aggressive “, nella ricerca delle fonti petrolifere, ed allo stesso tempo, anche “aprire” alle compagnie straniere il territorio in Val Padana, per le loro stesse iniziative di ricerca degli idrocarburi, Ike aveva ritenuto opportuno disinteressarsi della questione sollevata, in quanto giudicata in verità come facente parte di quello spirito della concorrenza del settore che, di norma, deve animare e regolare i rapporti economici tra imprese pubbliche e private che si contendono il mercato.
A quel punto, pertanto, le due questioni, quella del governo idoneo, la cui maggioranza si dimostrasse in grado di realizzare le riforme, per ampiezza e stabilità, e la stessa competizione petrolifera, pure ad essa collegata, s’ intrecciarono insieme e si ritrovarono sullo scrittoio del Presidente John Kennedy, da qualche mese appena, insediato all’ Ufficio Ovale. La Casa Bianca si avviò ad esaminarle ed approfondirle, con l’ aiuto dei suoi più stretti collaboratori.                                                                                                                      Sul primo argomento, ormai Nenni costituiva per l’ Amministrazione Kennedy un interlocutore affidabile, per diversi motivi. Nel 1956, aveva preso le distanze dall’ Unione Sovietica, mentre i carri armati del Patto di Varsavia invadevano Budapest. In coerenza con l’ indirizzo politico assunto in quell’ occasione, aveva precisato che il suo tanto discusso “ neutralismo “, in realtà, coincideva con l’ accettazione del Patto Atlantico e col mantenimento della situazione in essere in Europa.
In questo nuovo clima, politico e diplomatico, fiorito dopo la freddezza “ glaciale“ dell’ Amministrazione Eisenhower, maturò allora il primo vertice della “ Nuova Frontiera “ con i dirigenti italiani, e fu proprio nel giugno del ’61, subito dopo il Vertice di Vienna, tra il Presidente degli Stati Uniti ed il Primo Ministro dell’ Unione Sovietica, che le due delegazioni si presentarono all’ appuntamento di Washington. Da parte italiana erano presenti il Presidente del Consiglio dell’ epoca, Amintore Fanfani, con il ministro degli Esteri Antonio Segni, da quella americana, il Presidente John Kennedy, col suo vice, Lyndon Johnson. Da rilevare che il ministro Segni era notoriamente contrario al centro-sinistra, organico e quadripartito, con il pieno sostegno di Nenni e del PSI, mentre il texano Johnson aveva il compito di manifestare “inflessibilità“, nella difesa degli interessi petroliferi del “cartello“ e, quindi, in questo settore, probabilmente sperava d’ intralciare qualsiasi accordo potesse essere raggiunto tra il Presidente John Kennedy ed il Presidente Enrico Mattei, sulle questioni petrolifere del Medio – Oriente.
In apparenza, quindi, sembrò che da quell’ incontro, non dovessero scaturire sostanziali convergenze sul centro-sinistra organico, da un lato, con l’allargamento della base democratica al di là del tripartito DC – PSDI e PRI, allora in essere, e neppure dall’ altro lato sull’ auspicata intesa diplomatica tra l’Amministrazione americana e l’ ENI del Presidente, on. ing. Enrico Mattei.

Tuttavia, nonostante l’ argomento del centro – sinistra organico, col PSI dentro la squadra del governo, non fosse stato in realtà ufficialmente compreso nella “ scaletta “ dei temi da discutere nell’ incontro, il Presidente Kennedy non solo non scoraggiò affatto Amintore Fanfani dal procedere lungo quell’ itinerario politico ma delegò anzi alla libertà di giudizio del capo del Governo italiano i tempi ed i modi della realizzazione di quel progetto politico affermando pure che “ da parte americana, se il presidente del Consiglio giudicava buona questa prospettiva, gli Stati Uniti ne avrebbero seguito gli sviluppi con simpatia “. ( 3 ) La simpatia era necessaria dal momento che, tanto da parte americana come pure da quella italiana, la strategia dell’ apertura a sinistra incontrava fieri oppositori all’ interno del dipartimento di Stato e nella stessa ambasciata americana a Roma ed, in parte, nella C.I.A. e sul fronte romano, nella Confindustria, ed in parte nella DC e nello stesso Partito Socialista.
La prudenza, l’ attendismo ed il pragmatismo del capo della Casa Bianca erano dunque ben giustificati. A pochi mesi dall’ inaugurazione della sua presidenza, John Kennedy si rendeva conto della necessità di dover venire incontro all’interesse ed all’aspettativa presenti nel nostro Paese, circa l’ approvazione parlamentare delle importanti riforme economiche e sociali e la realizzazione, a sostegno di esse, della più ampia possibile maggioranza di governo.
A questo fine, cioè allo scopo di dover accelerare i tempi di maturazione dell’ alleanza quadripartita, potevano risultare certamente preziosi a livello parlamentare, l’ influenza, l’ intelligenza, il carisma e l’ autorevolezza del Presidente dell’ E.N.I. . Tali qualità di Enrico Mattei potevano ben essere convincenti non solo verso la DC, suo Partito d’origine, ma anche verso le due forze laiche di sostegno all’ Esecutivo, e soprattutto verso il PSI. Oltre a questi riferimenti di politica interna italiana, per quella estera non era certo sfuggito al Leader statunitense il modo deciso con cui il suo predecessore aveva bloccato nel 1956 le mire espansionistiche nel Mediterraneo della Gran Bretagna e della Francia, ai danni dell’ Egitto del Presidente Nasser, durante la crisi di Suez di quello stesso anno.

John Kennedy con la moglie Jacqueline e due dei tre figli

John Kennedy era a favore di un ruolo più importante dell’ Italia nel Mediterraneo, per una politica maggiormente aperta alle istanze dei Paesi che avevano da poco guadagnato l’ indipendenza politica, ed in questa prospettiva, non poteva non avvalersi, ai fini sempre politici, delle iniziative dell’ ENI e delle proposte contrattuali rivolte ai Paesi produttori di petrolio, con il 75 % degli utili a loro favore, contro il 25 %  all’ Ente italiano. Tali proposte, in sede di concorrenza economica, mettevano in evidenza una maggiore disponibilità dell’ impresa pubblica italiana, rispetto al 50 % proposto o offerto dagli oligopolisti privati. “ Per Mattei il problema non era solo quello di aumentare il reddito nazionale sviluppando nuove risorse : l’ obiettivo era anche morale, aveva a che fare con la dignità dell’ uomo e del lavoratore “. (4)
Oltre al sostegno che l’ Amministrazione americana offriva ai paesi da poco emersi dalla lotta anti – colonialista, “ perché era bene fare così “, nel secondo messaggio sullo Stato dell’ Unione, il Presidente Kennedy aveva indirizzato l’ attenzione mondiale su uno degli obiettivi primari della politica della “ Nuova Frontiera “, che consisteva appunto nel costruire  “ una libera comunità di nazioni, indipendenti ma interdipendenti, che unisca Nord e Sud ed Est ed Ovest in una grande famiglia umana, che superi e trascenda gli odii e le paure che travagliano la nostra epoca “.
Per realizzare questo disegno era indispensabile che i rapporti di scambio economico tra le Nazioni fossero equilibrati, utili e soddisfacenti per tutte le parti del contratto. Dovevano essere, pertanto, contenuti gli esorbitanti guadagni realizzati dal cartello petrolifero.  Per tutto il 1961, la Casa Bianca seguì con attenzione, attraverso i diversi collaboratori per la politica estera ( Arthur Schlesinger e James King, da un lato, ed Averell Harriman, dall’ altro ) l’evoluzione della situazione interna italiana, in vista dell’ allargamento al PSI della maggioranza governativa, e, con riferimento all’ attività dell’ ENI, i risvolti sulla politica interna ed estera dell’ Italia.
Su quest’ ultimo versante, l’ Ente di Stato italiano aveva in corso un importante accordo con l’ Unione Sovietica, per la fornitura, da parte di Mosca, di 12 milioni di tonnellate annue di petrolio greggio ad un prezzo conveniente, pagato da Roma col baratto, cioè con la cessione di condotte d’ acciaio per oleodotti, gomma sintetica ed altri beni. Questo tipo di convenzione – che non aveva precedenti nei contratti internazionali – indusse l’ Amministrazione americana a prendere l’ iniziativa d’ interporre i suoi buoni uffici affinché si esaurisse rapidamente l’ annosa contrapposizione che divideva l’ ENI dalla ESSO. Il Presidente Kennedy non era certo entusiasta dell’ accordo commerciale tra la Società pubblica italiana e l’ Unione Sovietica, sotto il profilo esclusivamente politico, in quanto era un contratto che si collocava al di fuori della solidarietà economica occidentale.
Propose allora alle grandi compagnie, come ha autorevolmente affermato Benito Li Vigni, il quale ha condotto una coraggiosa inchiesta sul punto, “ di mettere Mattei in condizioni di fare affari, di offrigli contratti migliori di quelli che aveva con l’ Unione Sovietica. Venne fatto un contratto per la fornitura – tra l’ ENI e la ESSO – di dodici milioni di tonnellate l’ anno di petrolio grezzo per cinque anni a condizioni veramente migliori di quelle che Mattei aveva con l’ URSS “.
Le condizioni di pagamento dal lato ENI seguirono, in parte, quelle comprese nel contratto con l’ Unione Sovietica, cioè il petrolio veniva pagato attraverso la fornitura di macchinari ed impianti, prodotti dalle società del gruppo ENI.
L’ intervento dell’ Amministrazione Kennedy ebbe un doppio scopo : evitava le tensioni commerciali tra società produttrici nel mondo petrolifero che generavano effetti tali da danneggiare il mercato, ed allo stesso tempo metteva in condizione gli Stati Uniti medesimi, che avevano a cuore la formazione del primo governo di centro-sinistra nel nostro paese, di poter confidare nell’ opera, a tal fine proficua, che poteva spendere personalmente il Presidente dell’ ENI.
D’ altro canto, sul piano politico, l’ Esecutivo statunitense aveva lo scopo d’ impedire la formazione di quel clima di ostilità che avrebbe danneggiato gli interessi politici di Washington, e che in qualche modo veniva innescato o provocato dai conflitti tra i vantaggi economici delle seven sisters e quelli contrastanti dei Paesi produttori di petrolio.
Nell’ ambito di questo nuovo clima politico e di questi mutati obiettivi americani, il Presidente dell’ ENI ottenne pure dall’ Amministrazione Kennedy  il tanto sospirato riconoscimento politico, a cui da tempo aspirava, e con la mediazione americana si poté accordare e raggiungere l’ intesa con la ESSO, e successivamente accogliere il formale invito a visitare gli Stati Uniti ed incontrare il Presidente John Kennedy alla Casa Bianca.
Nel frattempo, a febbraio 1962, Fanfani aveva formato il suo nuovo governo di centro-sinistra aperto, questa volta al sostegno esterno del PSI, ed in quel medesimo arco di tempo la trattativa ENI – ESSO entrò nel vivo e proseguì fino a dare i suoi frutti. La prudenza e la diplomazia del Presidente americano furono spese anche a vantaggio dell’ Italia.                                                                                                                   Il Presidente dell’ ENI non poté assistere agli sviluppi positivi del suo lavoro verso l’ Azienda che guidava ed il Paese che amava, e neppure ricevere il tanto guadagnato riconoscimento politico, dalla visita negli Stati Uniti.  Morì, infatti, a 56 anni, il 27 ottobre del 1962, in un attentato terroristico fatto eseguire col sabotaggio del suo aereo personale. Sul velìvolo bimotore della SNAM, esploso in volo sopra Bescapé, vicino Pavia, durante il viaggio da Catania a Milano, quando ormai era in vista dell’atterraggio all’ aeroporto di Linate, persero la vita anche il comandante Irnerio Bertuzzi ed il giornalista americano William McHale, che aveva accettato di accompagnare il leader dell’ ENI al fine di poterlo intervistare. Nel corso dell’ inchiesta riaperta dalla magistratura di Pavia, il P.M. Vincenzo Calia ha potuto inequivocabilmente accertare le modalità esatte della manomissione dello strumento di locomozione ed il tipo esatto di esplosivo che era stato usato. Occorre dire che l’ azione a tutto campo, in direzione della politica interna come di quella estera, del Presidente dell’ ENI, aveva incontrato diverse fiere ed implacabili opposizioni, sia all’ estero – cosa comprensibile, per un capitano d’industria che lavorava esclusivamente nell’ interesse del suo Paese – come all’ interno stesso dell’ Italia – cosa del tutto ingiustificata ed incomprensibile, da capire però in chiave di pura gelosia e contrasto ai progetti politici, da parte degli oppositori del centro-sinistra. Infatti, l’ intesa di centro-sinistra, realizzata nel ’63, in Italia, non corrispose certo allo specifico modello sul quale si erano trovati concordi John Kennedy ed Enrico Mattei.
L’ accordo petrolifero con l’ Unione Sovietica, per esempio, era stato molto criticato ed attaccato negli Stati Uniti ed il Presidente dell’ ENI pure accusato di “ non mantenere i patti stipulati nel dopoguerra, di avere rotto gli equilibri del mercato dei prodotti petroliferi, scavalcando e danneggiando con la sua egoistica autonomia non solo gli interessi delle grandi compagnie ma anche di avere compromesso futuri equilibri politici “. ( 5 )
Il vero motivo del contrasto fu la gelosia per l’ impeccabile struttura organizzativa del lavoro, risultato dell’ opera del grande imprenditore che fu , appunto, Enrico Mattei. La gestione dell’Ente, come le proposte ai Paesi produttori, erano superiori e migliori rispetto a quelle messe in cantiere dalle compagnie private. Proprio non riuscivano a stare al passo con l’ ing. Mattei.
Lo “ scavalcamento “ era determinato dall’ attività organizzativa impeccabile dell’ impresa pubblica, creata e messa a punto da Enrico Mattei, il quale era all’ avanguardia nel mondo, anche per l’ organizzazione del personale dell’ ENI, selezionato ed addestrato nelle scuole e nei corsi di formazione, promossi ed avviati dallo stesso Presidente. Questa supremazia “ tecnica “ dell’ Ente di Stato italiano, nel mondo, – affermazione, priva del tutto di alcuno spirito o rivendicazione aventi significato nazionalistico – faceva probabilmente paura alle compagnie dell’ oligopolio privato, le quali, per loro specifici motivi, non erano a quel tempo in grado di contrastare, gareggiando alla pari, quella che si può definire oggi, in una sola parola, la modernità dell’ ENI.
Di questa modernità, o lungimiranza che dir si voglia, dell’ azienda pubblica italiana, Benito Li Vigni ne dà un chiarissimo esempio ( 6 ) nella parte dei suoi studi in cui rievoca ed approfondisce le circostanze dell’ attentato al primo fondatore e presidente dell’ ENI, nell’ ottobre 1962. L’ illustre autore ricorda le motivazioni con le quali i dirigenti iracheni si decisero a revocare ben 57 concessioni di ricerca ed estrazione di petrolio dallo stato mesopotamico, alla Iraq Petroleum Company, a causa di gravi irregolarità nell’ adempimento degli obblighi contrattuali, e contemporaneo accordo, al posto di quella compagnia, con l’ ENI di Enrico Mattei.
Questo atto di sostituzione di una compagnia petrolifera al posto di un’ altra, venne probabilmente giudicato intollerabile, e secondo i risultati dell’ approfondita inchiesta, condotta dall’ illustre storico, che fu anche tra i più stretti collaboratori di Enrico Mattei, fece scattare anche la molla o fu comunque il motivo determinante che condusse all’ attentato. Se si considera che a Catania, cioè sul luogo che nella memoria collettiva divenne il territorio che comprendeva o conteneva l’ aeroporto in cui venne consumato il crimine, cioè la manomissione dell’ aereo, si accertò la presenza, proprio nei giorni in cui Enrico Mattei era a Gela, di quel Carlo Marcello, petroliere, commerciante di pomodori in Louisiana ma anche importante elemento legato alla Permindex ed al controspionaggio britannico negli Stati Uniti, oltre che alla mafia di New Orleans, sussiste il quadro chiaro che collega l’ attentato alla vita del Presidente italiano Enrico Mattei con quello perpetrato a Dallas tredici mesi dopo, contro il Presidente statunitense John Kennedy (7).
Marcello Colitti, riferendosi all’accordo di Mattei con la ESSO, parla di “ accettazione formale del lavoro di Mattei e del peso dell’ ENI “, ed è quello che molto probabilmente si volle impedire con i due delitti politici. Di quell’ accettazione o riconoscimento, infatti, non si parlò più una volta messi a segno i due atroci, efferati e proditorii crimini.
In quello stesso periodo in cui – siamo a fine ottobre 1962 – prese forma ed anzi si concretizzò la minaccia mortale contro il Presidente dell’ ENI, on. ing. Enrico Mattei, nel tragico epilogo di Bescapé, il Presidente Kennedy – il quale, come abbiamo visto, aveva già collocato in agenda l’ incontro col dirigente italiano, si trovò immerso nella febbrile ricerca di una via d’ uscita alla drammatica crisi missilistica cubana. Ettore Bernabei negli anni della “Nuova Frontiera” fu direttore generale della RAI – TV e si trovò a Washington proprio nei giorni d’inizio della crisi missilistica, per motivi connessi all’ esercizio del suo elevato incarico dirigenziale e fu anche un prezioso testimone in merito al ruolo avuto dall’ Italia nella decisiva composizione della crisi dei Caraibi, di cui fa cenno nel suo libro – intervista del 1999.
Precedentemente al discorso presidenziale alla televisione, del 22 ottobre 1962, Bernabei era nella Capitale americana per una riunione dei dirigenti televisivi che avevano aderito al programma delle trasmissioni via satellite, allora all’ inizio.
Invece di tenere la riunione al Dipartimento di Stato per quell’ordine del giorno, la crisi missilistica cambiò tutto. Vennero mostrate invece le foto prodotte non soltanto dagli aerei spia, ma anche dai satelliti delle basi missilistiche, in corso di costruzione presso l’isola di Cuba. È importante sottolineare che il Presidente Kennedy sottopose il Primo Ministro Khrushchew ad un vero e proprio intenso pressing diplomatico, esercitato a tutto campo, come si potrebbe dire, in gergo sportivo.
Oltre alle iniziative intraprese nella capitale americana per mezzo del Ministro della Giustizia Robert Kennedy sull’ ambasciatore di Mosca, Anatolj Dobrinin, si aggiunse quella importantissima attività spesa proprio a Mosca, dal giornalista amico del Presidente americano, Norman Cousins, con l’ influenza sul direttore della televisione sovietica, Karmalov, al fine di raggiungere Khrushchew.
Monsignor Cardinale, che era allora il collaboratore più stretto del sostituto della Segretaria di Stato, Monsignor Dell’ Acqua, teneva i contatti con Cousins, di cui era amico e col governo italiano, tramite Hombert Bianchi, il quale allora era il capo di Gabinetto di Fanfani, a Palazzo Chigi. Da questo intenso lavorìo diplomatico e da tutta questa complessa e poderosa pressione americana sul Primo Ministro dell’Unione Sovietica, scaturì l’accordo per il ritiro dei missili nucleari americani, collocati in Puglia. Poi vi fu l’appello papale. Il ruolo di Cousins a Mosca fu molto importante, perché confermò – anche da un altro canale a Khrushchew – la volontà americana ( e la serietà americana ) di voler trovare l’accordo con lo scambio Puglia – Cuba, cioè il ritiro dei missili da Cuba unito a quello dei missili dalla Puglia.
Fu una vittoria dei due grandi uomini di Stato, John Kennedy e Nikita Khrushchew, ma fu soprattutto una vittoria di tutto il genere umano. Il governo italiano e la Santa Sede contribuirono in modo determinante a questa vittoria di tutta l’umanità. (9)
Da quegli accordi scaturirono, com’è noto, le riforme americane di ristrutturazione della NATO ed i tagli alle spese della Difesa, con le riduzioni delle basi militari all’estero. La politica del disarmo e della pace : John Kennedy sperava d’incontrare le idee, le valutazioni, i valori morali e la cultura di Enrico Mattei, su questi temi. Ma ciò non fu possibile ed anzi lo stesso Presidente americano fu vittima, tredici mesi dopo, di quegli stessi sviluppi politici a cui Mattei non poté assistere. Inquietanti e chiari riferimenti, oggi : entrambi i leaders erano uniti nel perseguire la politica della pace e del disarmo, accompagnata dalle iniziative di riequilibrio economico in direzione dei Paesi emersi dalle lotte colonialiste, Paesi emersi da poco e resi indipendenti.
Entrambi si trovarono a lottare all’interno delle loro strutture di governo contro interessi economici e politici, dichiaratamente avversi : il vicepresidente Johnson e il vicepresidente Cefis. Entrambi persero la vita in attentati terroristici ed i loro avversari si trovarono a guidare quelle strutture, dopo avere capovolto le rispettive politiche. Grandi interessi economici e politici guidarono allora l’esecuzione delle due sentenze di morte, a cui furono sottoposti John Kennedy ed Enrico Mattei, in uno scenario, oggi solo storico, in cui contribuirono in modo determinante singoli elementi della mafia e / o dell’intelligence estera. Come ha rilevato la brillante approfondita ricerca di Benito Li Vigni, impressionanti analogie tra i due delitti ed evidenti punti di contatto.

                                                                                      Sebastiano Catalano

 

( 1 ) – ROBERTO FAENZA, Il Malaffare, Mondadori, Milano , 1978, pag. 34 ;

( 2 ) – ARTHUR SCHLESINGER, I Mille giorni del Presidente Kennedy, Rizzoli, Milano, 1966, pagg. 870 ed 871 ;

( 3 ) – A. SCHLESINGER, I Mille giorni, op. cit., pag.872 ;

( 4 ) – MARCELLO COLITTI, Eni, Egea, Milano,2008, pag.82 ;

( 5 )Studio pubblicato su INTERNET, dal titolo : “ Accordo petrolifero ENI – URSS “. 

( 6 ) – BENITO LI VIGNI, su INTERNET, in Anno 1962, accordi economici in materia petrolifera tra Eni ed Esso, con l’ intermediazione della Casa Bianca.

( 7 ) – ROBERTO FAENZA, op. cit., pagg. 320,321 e 330 ;

( 8 ) – MARCELLO COLITTI, op. cit., pag. 84 ;

( 9 ) – ETTORE BERNABEI e GIORGIO DELL’ ARTI, L’uomo di fiducia, Mondadori, Milano,1999,pagg.168 e 169 ;

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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