La Conferenza Episcopale Siciliana torna ad interrogarsi, dopo le votazioni degli inizi di giugno, sulle tematiche della cittadinanza, dell’inclusione e delle prospettive per gli italiani di seconda generazione, accendendo il dibattito pubblico.
Il dato politico emerso dall’ultimo referendum lascia piuttosto sconfortati. L’affluenza alle urne è stata molto bassa e, pur percependo fin dall’inizio il raggiungimento del quorum come improbabile, non ci si aspettava che solo il 30,6% degli italiani e il 23,8% dei connazionali all’estero si recassero alle urne.
A livello regionale l’affluenza più alta viene registrata in Toscana (che si attesta al 39,1%) mentre tra le regioni in cui l’affluenza è stata più bassa ci sono Trentino Alto Adige (22,7%), Calabria (23,8%) e Sicilia (23,1%).
Dai dati emersi resta palese anche la significativa differenza nei risultati: nei quesiti sul lavoro si attesta tra l’87 e l’88% il voto favorevole. Al contrario il quesito sulla cittadinanza ha ricevuto il 35% di no.
Dal confronto tra questi dati nasce anche il desiderio di riportare l’attenzione del dibattito pubblico sulla cittadinanza da parte della CESi.
Il quesito sulla cittadinanza
Obiettivo primario del quinto quesito del referendum era ridurre da 10 a 5 gli anni di residenza regolare sul territorio italiano per procedere alla richiesta di cittadinanza.
Solo questo capo era oggetto di votazione, mentre gli altri requisiti indispensabili, come la conoscenza della lingua italiana, l’assenza di reati commessi e la stabilità economica, non erano in discussione.
Nel totale dei votanti il 65% si è espresso favorevolmente a questo cambiamento, mentre il restante 35% ha scelto di barrare il no, affermando la propria contrarietà a ridurre il tempo di attesa per avere la cittadinanza. Questo è il dato, riportato dal giornale “Post“, che si mostra inaspettato: quasi 5 milioni e 200mila persone, contro i 9 milioni e 700mila che hanno votato a favore.
Una presa di posizione da non sottovalutare: moltissimi italiani hanno scelto di recarsi alle urne e mostrare il proprio dissenso votando, piuttosto che non ritirare la scheda o addirittura non presentarsi al seggio.
La nota della CESi
La Conferenza Episcopale Siciliana, preoccupata non tanto dal risvolto politico quanto da quello sociale, è voluta intervenire sul tema diramando una nota congiunta firmata da mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, delegato per le migrazioni, e da mons. Giovanni Accolla, arcivescovo di Messina, delegato per la carità, che riapre il confronto sulla questione migrazione.

La CESi rilancia il dibattito sulla cittadinanza per le seconde generazioni, volendo sollecitare una riflessione che va oltre l’esito referendario e riporta il focus sull’aspetto educativo e culturale dell’inclusione.
Nella nota si rimette centrale la condizione di migliaia di giovani di seconda generazione, che sono nati o cresciuti in Italia a cui la cittadinanza viene negata, e questa apre al dibattito tra le istituzioni e tra la popolazione. Nella stessa si legge come la necessità di superare la dissonanza tra cittadinanza de facto e de iure sia fondamentale per una società civile.

L’integrazione è già promossa nelle scuole per naturale attitudine, ma bisogna confrontarsi ancora sullo Ius Scholae affinché lo si possa rendere strumento capace di accelerare l’iter per il raggiungimento della cittadinanza, per chi in Italia ha completato il ciclo scolastico.
Punto cruciale del dibattito è la consapevolezza che l’Italia è vittima di una forte denatalità e al contempo ha un’alta percentuale di bambini stranieri che nascono e crescono sul nostro territorio nazionale, per questo trovare la giusta combinazione tra i due è fondamentale per garantire un futuro stabile a tutto il Paese.
Quello che si prefiggono i due uffici è poter portare avanti un confronto pubblico con istituzioni, mondo culturale e le stesse seconde generazioni, affinché si possa promuovere un ordinamento veramente giusto ed inclusivo.
Il Censis fotografa la situazione italiana
Ad ottobre dello scorso anno il Censis ha presentato il proprio report sull’universo delle seconde generazioni dei migranti naturalizzati italiani.
I cosiddetti nuovi italiani di età compresa tra i 18 e i 34 anni sono nati e cresciuti i Italia, da entrambi i genitori di origini stranieri o figli di matrimoni misti. Il 77,4% dei giovani intervistati è nato in Italia e il 22,6% è arrivato nel nostro Paese in età prescolare. Il 76,6% ha la cittadinanza italiana, quota che sale all’80,4% tra chi è nato in Italia.
La presenza di questi giovani garantisce una crescita demografica non indifferente: sono 82.216 bambini con almeno un genitore straniero registrati in Italia nel 2024, la media di un neonato ogni cinque.
La demografia scolastica attesta invece che l’11,2% degli studenti iscritti a scuola (914.860 persone) sono di origine straniera. In maggior parte alunni delle scuole primarie (13,3% del totale) e della scuola dell’infanzia (12,5%).
Dagli studi emerge inoltre che le differenze restano legate alla radicata religiosità. Inoltre negli stranieri di seconda generazione è forte anche un crescente fastidio verso atteggiamenti razzisti e discriminatori nei propri confronti, creato da coloro che al sano dibattito sulla cittadinanza preferiscono le vie dell’ignoranza culturale.
Il Censis ha raccolto proprio in questa occasione il lamentarsi di atteggiamenti che definisce di “razzismo silente”. Oltre il 50% degli intervistati denuncia la manifestazione di sentimenti di odio, da parte di italiani, legati alle origini etniche mentre oltre il 60% è convinto della crescita di comportamenti discriminatori.
I dati riportati permettono di guardare ai fenomeni migratori non semplificando la faccenda o rendendola vittima di pregiudizio, ma permettendo attraverso dati chiari di poter analizzare la realtà dei fatti.
La sfida della cittadinanza
L’importanza della cittadinanza è sempre più evidente e serve attuare una strategia, che non sia solo un dibattito sterile, ma che sia proficua sia per i cittadini per diritto di nascita, che per coloro che lo sono in seconda generazione.
Si auspicano percorsi di naturalizzazione maggiormente efficaci, ed al contempo percorsi di accettazione del diverso più incisivi.
I giovani di seconda generazione hanno acquisito gli stili e le caratteristiche della cultura italiana, in un’integrazione di fatto che è processo di osmosi. Questo ha permesso una ghettizzazione quasi a zero, contrariamente ad altri paesi europei in cui questo è diventato un problema annoso. Oggi si impone una riflessione sulle tempistiche di inserimento sociale, affichè si possa trovare il giusto equilibrio tra i bisogni degli italiani e di coloro che si auspicano di diventarlo nel minor tempo possibile.
Ci troviamo davanti a ragazzi che seppur somaticamente diversi, parlano la nostra lingua e spesso i nostri dialetti, studiano la nostra storia e la imparano, vivono della nostra cultura letteraria, artistica, imparano la nostra Costituzione sui banchi di scuola.
L’integrazione è occasione di aprici a prospettive nuove, non vittime di paura o di scelte inconcludenti, ma figli di una nuova esperienza attiva e fattiva. In questa prospettiva l’integrazione diventa occasione da non sprecare.
Chiara Costanzo