Il caso / Libertà d’espressione e uso commerciale delle immagini sacre possono andare a braccetto? Una sentenza Ue apre molti interrogativi

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La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo sull’immagine della Madonna e di Gesù in una pubblicità Lituana (apparsa però nel 2012) sta facendo il giro del mondo. La ragione che “non si può limitare la libertà d’espressione” intanto è ambigua: se essa è radicalmente vera allora si può inneggiare ad alcuni momenti del fascismo, se è vera, si può furbescamente insultare qualcuno. Ed è anche vero che immagini religiose sono state già usate dalla pubblicità, ed anche più pesantemente, come nel caso, eravamo nel 1973, dei jeans “Jesus”.

In molti messaggi commerciali sono usati elementi legati al mondo della fede, non solo quella cristiana. Solo che ci si dimentica di come l’Europa non sia un unicum culturale dove tutto è identico, che ci sono realtà diversissime tra di loro, che per una sensibilità un’immagine sacra che sponsorizza vestiti non ha nulla di scandaloso, mentre per altre culture questa appropriazione può essere vista come blasfema. Gli uomini provengono da diverse realtà culturali che non potranno mai essere cancellate per lasciare posto ad una accezione della libertà che vuol dire tutto e niente, e che talvolta contraddice anzi la libertà di qualcuno di appartenere ad una etnia, una religione, una cultura diversa. Lo schiacciamento culturale del non limitare la libertà d’espressione è evidente, come teorizzava lo stesso Pasolini negli anni Settanta, parlando proprio dell’uso –un uso molto più pesante che in Lituania- della religione nella pubblicità di jeans.

C’è poi il motivo fondamentale: l’immagine religiosa affonda le sue radici in un humus che non può essere relegato a semplici normative legalistiche. Ha una profondità tale che una sua appropriazione in termini di mercato può essere vista come stonata se non offensiva. Quando gli artisti, non tutti credenti, affrontavano soggetti sacri, magari deformavano o riportavano indietro le tecniche pittoriche rispetto al loro tempo (un esempio celebre è la “Natività mistica” di Botticelli), ma lo facevano per far passare un messaggio, magari di disperazione, o di rifiuto dell’arte del tempo. Vi era una partecipazione profonda sia alla rivendicazione sia alla critica di alcuni elementi religiosi. Nella proibizione dell’immagine sacra all’interno dello stesso mondo cristiano e in quello islamico si può leggere la profonda convinzione che il divino sia talmente altro da non poter essere descritto dall’arte.
La letteratura laica ci ha lasciato poesie e racconti di grande bellezza su argomenti sacri, basti pensare a Carducci, a Pascoli, a D’Annunzio. Il rispetto di quella dimensione era fondamentale anche per loro.

L’uso che se ne fa nella pubblicità apre invece nuovi interrogativi, perché in questo caso è la ricerca dell’utile a porre di per sé una distorsione radicale, anche quando non ci sia un’offesa diretta nelle immagini, come nel caso della Sekmadienis lituana. Il religioso è qualcosa che, se estrapolato dalla sua dimensione profonda e radicata nell’uomo, diviene altro, tocca sensibilità che non possono essere ridotte a norme legislative, perché non tutto può essere quantizzato e razionalizzato.

Marco Testi

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