Catania / Centro storico: difficile viverci, è di moda fuggirne

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A Catania si respira una bruttissima aria, quasi irrespirabile. Gli episodi di illegalità stanno aumentando, tra risse, furti e atti di teppismo, al punto che anche chi scrive (non un catanese, ma una persona che frequenta Catania e segue la cronaca locale) se n’è accorto.
Ma non è solo questo a non far stare tranquilli. Lo è anche la psicosi mediatica, il virus della paura che si sta diffondendo: la città è descritta come “il bronx dei mammoriani”, con roboanti appelli a non uscire la sera nel centro storico, anzi, ad andare proprio via. O, peggio, a farsi giustizia da soli.
Ecco: questa spirale drammatica non porterà da nessuna parte. Nessuna parte, s’intende, in cui sia piacevole andare. L’unico risultato possibile sarà quello di creare barriere tra coloro che frequentano la città: benpensanti e zaurdi, perbenisti e villani, paurosi e incoscienti, timidi e spacchiosi. “Civili” e “incivili”.
Forse è il caso di fermarsi, prima che i catanesi comincino a diffidare anche del proprio vicino di casa. Cosa sta succedendo in città?
Secondo il “Manuale di criminologia per dilettanti”, i fatti che accadono a Catania sono quelli tipici di ogni città in fase di crisi economica. C’è, rispetto al passato, una microcriminalità diffusa, composta da individui (italiani e stranieri) che vivono oltre i confini della legalità e che per questo corrono notevoli rischi, pur non ricavandone grossi profitti. Del resto, difficilmente troverebbero un lavoro onesto che faccia per loro. Sono maleducati, violenti, arroganti.
E sono il peggio della società catanese. Anzi no. No, affatto. Perché c’è la Mafia, anche se non si vede, ed è ben diversa dal ragazzo che vediamo spacciare nel vicoletto. Se al vertice della piramide della criminalità c’è la malavita organizzata, questi balordi ne sono la base; la mafia è il loro datore di lavoro e proprio non li sopporta, ne farebbe volentieri a meno, perché sono rumorosi, indisciplinati, danno nell’occhio, creano disordini e possono diventare un problema per gli affari illegali.
L’interesse mafioso è diverso: creare un sistema imprenditoriale complesso, nel quale le risorse pubbliche diventano fonti di ricchezza per pochi; è mafioso appropriarsi dei beni comuni, come una piazza trasformata in parcheggio privato o una spiaggia libera trasformata in lido. A questa malavita farebbe comodo una città tranquilla e silenziosa, una città “civile” nella quale fare affari (legali e illegali), come la Milano dell’Expo, come era Catania negli anni ’60, “La Milano del Sud”.
Ci sono malavita comune e malavita organizzata. Poi, infine, c’è la maggioranza dei catanesi. A questa larga parte di città la mafia non dà fastidio, perché non si fa notare. La microcriminalità sì, invece: è il parcheggiatore abusivo di piazza Dante, la prostituta di Viale Africa, lo spacciatore di piazza Teatro Massimo. Per questo motivo il catanese medio ha deciso di astenersi dal vivere la propria città (niente di strano, succede anche altrove, ad Acireale è già successo nel centro storico). Ottima notizia per i centri commerciali. Perché per molti è inaccettabile farsi turbare la sensibilità dalla donna (sfruttata, umiliata, picchiata) impegnata a mercanteggiare col cliente, sarebbe meglio se questa lavorasse in casa, dove nessuno la vede (nessun guardone).
“Eccheppalle l’abusivo. Non ci ‘nne soddi”. Abusivi fastidiosi e insopportabili che diventano persone disperate da comprendere solo quando si danno fuoco e muoiono. Meglio non uscire la sera, boicottare il centro storico e lasciare, quindi, che i balordi ne siano gli unici padroni. Rassegnarsi all’inciviltà.
Sarà un paradosso, ma la parte più vitale della città è proprio quella cosiddetta “incivile”. Sporca, abusiva e passionale. Viceversa: la componente onesta e “civile” è anche quella più statica, rinunciataria, pigra. Si lascia morire. E trova, per lasciarsi morire, motivi a dieci a dieci.

                                                                                                                                                                                                                      Giuseppe Zanghi

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