Cinema / Hobbit, il ritorno dell’epica e l’eterno scontro tra bene e male

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Il regista Peter Jackson non perde di vista i valori di base del testo del cristiano Tolkien

hobbit-desolazione-smaug-trailerTornano i 12 nani, lo hobbit coraggioso Bilbo Baggins e il mago Gandalf raccontati dal libro di Tolkien “Lo Hobbit” e trasposti sullo schermo dal neozelandese Peter Jackson. A due anni di distanza dal primo capitolo di questa ennesima trilogia (a Jackson si deve anche la trilogia cinematografica de “Il Signore degli anelli”, tratta sempre dal romanziere inglese), “Lo Hobbit. La desolazione di Smaug” ricomincia laddove il precedente s’interrompeva: l’inizio del viaggio della sgangherata compagnia alla riconquista della città dei nani, ora abitata dal drago Smaug. Capitanati da Thorin Scudodiquercia i protagonisti procedono nel loro cammino tra ragni giganti, uomini orso, orchi e il fondamentale incontro con gli elfi silvani di Legolas. Ad un passo dalla meta, però, Gandalf è costretto a separarsi dalla compagnia per affrontare prove più importanti da solo, mentre i nani e Bilbo giungono a Pontelagolungo, alle pendici del monte in cui riposa il drago Smaug.
Determinato a riprendere quel che è suo Thorin Scudodiquercia non attende Gandalf e decide di procedere da solo inviando come pattuito Bilbo a rubare l’Arkengemma dal drago dormiente. Se la trilogia “Il signore degli anelli”, comprimeva tre libri in tre film, brillando per come la capacità di sintesi non asciugasse i momenti più importanti della loro forza, “Lo Hobbit” dilata, invece, un libricino in tre pellicole.
Invece che selezionare, comprimere e scartare Jackson aggiunge, crea, arricchisce e in questo secondo film, le creazioni del regista sono decisamente più evidenti che nel primo. L’obiettivo delle aggiunte e delle mille piccole modifiche è rendere effettivamente “Lo Hobbit” un prequel a “Il signore degli anelli”. Il libro fu scritto prima ma, pur facendo da base per alcuni presupposti e qualche evento, non è effettivamente collegato in ogni sua parte alla trilogia che sarebbe stata pubblicata quasi 20 anni dopo. Cinematograficamente, invece, Jackson rilegge “Lo Hobbit” di Tolkien e lo mette in scena con il senno di poi, iniettando premonizioni e imbastendo scontri preparatori alla grande guerra dell’anello. Questi cambiamenti hanno fatto un po’ storcere il naso agli amanti di Tolkien che predicano la purezza del testo di partenza. Ma ogni dubbio o perplessità scompare quando entra in scena il cattivo del racconto: Smaug, il drago. Smaug è una figura potente, che scambia dialoghi acuminati con Bilbo e che, soprattutto, è resa in maniera spettacolare dalle tecniche digitali.
Anche in questo episodio il regista ha utilizzato le più avanzate tecniche 3D per coinvolgere lo spettatore “dentro” il racconto cinematografico. E anche in questo episodio Jackson dimostra la sua capacità di fare un cinema epico ed emozionante, spettacolare e avvincente, che non perde di vista i valori di base del testo del cristiano Tolkien: la lotta tra il bene e il male e la conseguente scelta di ogni individuo di fronte a essa, il coraggio, l’amicizia, la fedeltà, la responsabilità che ognuno di noi ha verso gli altri, se stesso e il mondo. Tutto questo in un impianto narrativo mozzafiato, visivamente dirompente e che non lascia un attimo di tregua. Tanto che il finale (volutamente mozzato perché il regista sta già girando il terzo episodio) lascia veramente con l’amaro in bocca perché si sarebbe stati disposti a vedere altre tre ore di film pur di osservare tutta la storia per intero.

Paola Dalla Torre

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