Convegno Anicec / Come comunicare il Vangelo al tempo della rete

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Il Dipartimento di scienze della comunicazione e dello spettacolo dell’Università Cattolica e l’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali hanno promosso un incontro su “Capire i media oggi per essere protagonisti”. Messo a fuoco “il nuovo corso Anicec”. Illustrate le grandi novità del percorso formativo per gli animatori della cultura e della comunicazione. Le voci: Giuliodori, Anelli, Pompili, Colombo, Tarantino, Giaccardi, Eugeni, Fumagalli e Maffeis.

181013-010Ciascuno, oggi, può essere protagonista della comunicazione. Non è difficile, tra un tweet e un video caricato su YouTube. Ma proprio questa potenzialità rende ancora più impellente conoscere gli strumenti che si hanno a disposizione. Lo capì la Chiesa italiana già nel 2004, quando pubblicò il direttorio “Comunicazione e missione”, nel quale individuava una figura nuova, quella dell’animatore della cultura e della comunicazione (Anicec). Da quel documento ha preso corpo il corso Anicec (www.anicec.it), promosso dall’Università Cattolica e dall’Ufficio Cei per le comunicazioni sociali (Ucs), che a sette anni dalla nascita ora vive un rinnovamento, conseguente al vertiginoso mutare dei nostri tempi. Così, ieri pomeriggio (14 novembre) a Milano, il Dipartimento di scienze della comunicazione e dello spettacolo della Cattolica e l’Ucs hanno promosso un incontro su “Capire i media oggi per essere protagonisti”, nel quale è stato messo a fuoco “il nuovo corso Anicec”. Al termine, la consegna dei diplomi a quanti hanno frequentato la scorsa edizione.
Percorso condiviso. “La missione della Chiesa passa oggi in gran parte attraverso i media: è importante che questo non resti un settore, ma diventi un percorso condiviso per tutta la comunità ecclesiale”, ha sottolineato monsignor Claudio Giuliodori, assistente ecclesiastico generale dell’ateneo fondato dal beato Toniolo, ricordando come l’animatore vada ad affiancare nella Chiesa “altre figure già riconosciute e strutturate”. In altri termini, all’annuncio e alla testimonianza – ha precisato Giuliodori – va aggiunto il “comunicare il Vangelo”. Il rettore della Cattolica, Franco Anelli, ha confermato l’impegno dell’Ateneo verso il corso, vedendo in esso “uno dei modi con cui l’Università può essere di servizio alla Chiesa”. “Capire come funzionano i media – ha aggiunto – è oltremodo importante oggi”, quando per diventare protagonisti “basta usare bene il sistema dei social network”. E, “più importante è il messaggio, più intenso si avverte il dovere di saperlo comunicare”.
Le novità del corso. Dal momento che “siamo sempre sfidati dalle novità tecnologiche”, come ha evidenziato il neo-direttore del Dipartimento della Cattolica, Fausto Colombo, “un corso sulla comunicazione nel 2013 – ha puntualizzato il coordinatore, Matteo Tarantino – passa per forza attraverso i social network”. Per “ridurre le barriere”, ha spiegato, la “piattaforma è stata resa disponibile per tutti i tipi di accesso, fisso e mobile”, è stata rimodulata la retta e si è lavorato per “una maggiore libertà degli studenti nella gestione delle lezioni e degli esami”. Altro asse è il “fare gruppo” (da cui l’hashtag #FareGruppo): l’iscrizione a Facebook e Twitter “è parte integrante dell’iscrizione al corso”, ha rilevato Tarantino, auspicando “che i social diventino luoghi nei quali questi gruppi di studenti condividano saperi ed esperienze”. D’altronde, ha specificato il sottosegretario Cei e direttore Ucs, monsignor Domenico Pompili, il corso Anicec “ha sempre investito nell’intreccio” tra vecchi e nuovi media, ma soprattutto “ha sempre centrato la sua attenzione sulla dimensione dell’incontro”.
Vivere la fede nel tempo della rete. Compito del corso e di quanti lo frequenteranno, secondo la sociologa Chiara Giaccardi, è “demolire i pregiudizi che ostacolano la comprensione, ad esempio che il digitale sia nemico del reale, oppure che Facebook renda le nostre relazioni vulnerabili”. “Formare i professionisti della comunicazione è stata una grande intuizione del mondo cattolico”, ha riconosciuto il docente di semiotica dei media Ruggero Eugeni. Già, perché “oggi – gli ha fatto eco Armando Fumagalli, ordinario di teoria dei linguaggi – alcuni tipi di comunicazione sono un laboratorio di riflessione etica e proposte sociali”. La Chiesa, da parte sua, cerca “un linguaggio non massificante – ha sintetizzato Pompili – ma che sappia essere allo stesso tempo universale e personalizzato”. “Vogliamo abitare questo tempo – ha concluso don Ivan Maffeis, presidente dell’Ente dello spettacolo -, aiutarci a viverlo da cittadini, avere una parola buona e rispettosa da proporre, quella che viene dal vivere la fede nel tempo della rete, sapendone cogliere appelli e opportunità”.

 

Francesco Rossi (inviato Sir a Milano)

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