Culture / Chassidismo: storia e caratteristiche di un movimento ebraico (parte II)

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menorah movimento ebraico

Il chassidismo è un movimento spirituale ebraico e presenta molti aspetti che lo caratterizzano. Un chassid cerca di perseguire l’unificazione, innanzitutto, intesa come il superamento della distinzione tra sacro e profano. “Dio abita dove lo si fa entrare” riporta un detto chassidico. Si riferisce proprio al superamento della separazione sacro/profano poiché “il sacro può ridestarsi in ogni luogo, in ogni ora, in ogni atto e in ogni dialogo” (cit. M. Buber, Il chassidismo e l’uomo occidentale). Il chassidismo offre proprio questo modo di vedere la realtà per via della teoria qabbalistica delle scintille divine (Shevirat ha-kelim): esse abitano ovunque.

Il Chassidismo: movimento ebraico dalla spiritualità del raccoglimento 

Questo punto esprime l’anti-ascetismo dell’insegnamento chassidico recente: “l’uomo non può rivolgersi al divino protendendosi oltre l’umano, bensì può rivolgersi a lui diventando umano. Diventare umano è il motivo per cui questo singolo uomo è stato creato” (cit. M. Buber, Il chassidismo e l’uomo occidendatale). Ma vi è un altro significato di unificazione, ovvero quello di unificazione dell’anima, inteso come la possibilità di diventare “uno” raccogliendo le membra sfilacciate della propria interiorità  e avendo come punto di partenza Dio. Parlare di unità in questo senso vuol dire intendere l’azione come presenza, vedere l’azione sotto questa prospettiva vuol dire non scollare l’uomo tra essere e fare.

chassidismo ebraico
Frammento della raffigurazione dell’albero della vita dove, secondo la qabbalah, sono rappresentate le leggi dell’universo

Altri tratti del chassidismo sono “l’importanza data alla qabbalah, il concetto che ogni atto della vita è in se religioso, la ricerca della comunione con Dio, una intensa vita comunitaria e il culto del rebbe“. Con il termine qabbalah si intende la mistica ebraica divenuta una tra le fonti per questo movimento. Uno degli aspetti che si trae dalla qabbalah, e che possiamo rinvenire nel chassidismo, è la devekut intesa come l’adesione. Il termine esprime l’idea di devozione: l’esser rivolti verso Dio non riguarda solamente i momenti di preghiera per il chassid ma è uno stadio che il mistico deve proporsi come obiettivo ed accessibile a tutti. Il chassidismo, tutta via bisogna dire, supera alcune visioni della qabbalah (come per esempio la deschematizzazione del mistero).

Il Chassidismo: le figure di riferimento del movimento ebraico 

L’unità familiare, perno della vita ebraica, non perse di importanza quando iniziò a diffondersi il chassidismo ed, accanto a questa, crebbe la comunità, non intesa come una confraternita, dice Buber, ma un gruppo intorno a uno tzaddiq, ad un maestro giusto – un leader chassidico diremmo oggi – non a scapito della famiglia. Un esempio potrebbe considerarsi la tavola per i pasti (il tish) presieduta dal rebbe insieme ai suoi chassidim: il pasto si consumava in pubblico durante lo Shabbat oppure nelle festività. Queste abitudini sono ancora tutt’oggi conservate da chassidim e ebrei ortodossi.

Questo spirito di comunione ha costituito una vita comunitaria di eccezionale intensità. La centralità del rebbe fin dalle origini  fu un tratto del chassidismo: Il rebbe-tzaddiq, capo carismatico, è l’uomo della discesa: non è colui che si eleva su un piedistallo ma colui che scende fino al livello dei peccatori per incontrarli e farli (ri)salire alla luce divina, direbbero i chassidim. È profondamente umile nonostante la sua elevazione spirituale: la sua è un’umiltà pura, non si ritiene meno santo ma si ricorda di essere uomo. È colui che diventa come un terreno (humus, da cui viene la parola umile) d’incontro tra l’uomo e Dio.

Il Chassidismo: sulla giusta intenzione e sulla teshuvah 

Infine resta da spiegare il termine kawwanah (giusta intenzione). Questo termine richiama il termine qabbalah, perché come spiega Buber, viene da qabbel che vuol dire ricevere, accogliere. Mentre il termine kawwanah deriva da kawwen che vuol dire dirigere verso qualcosa. Allora “il senso della saggezza della qabbalah è accogliere su di sé il giogo del volere di Dio, mentre il senso ultimo dell’arte delle kawwanot è indirizzare il proprio cuore a Dio” (cit. M. Buber, Il messaggio del chassidismo).

Questo termine richiama allora quello di teshuvah, ovvero la conversione del cuore, quel ritorno-risveglio che permette la conversione. La kawwanah trasforma ogni azione, anche la più profana, in un atto religioso. Questo cambiamento verso il bene occorre attuarlo anche quando vengono in mente pensieri estranei, pensieri di fantasia, o di tentazione. Occorre cambiarli, trasformarli, per poter vincere su di essi. Per dirlo con le parole di Buber: “se riesci a trasformare un demone, hai già vinto su di esso”.

Riccardo Naty

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