Diocesi / La preghiera di don Giovanni Mammino al Signore nel 25° di sacerdozio: “Continua a mostrarmi l’eterno Amore”

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Un momento della celebrazione eucaristica a Cosentini di Santa Venerina, parrocchia di provenienza di don Mammino (foto di Massimo Vittorio)

Pubblichiamo la “preghiera finale” elevata al Signore da don Giovanni Mammino in Cattedrale, sabato 14 settembre, a conclusione della celebrazione in occasione del suo 25° di sacerdozio, presieduta dal vescovo mons. Antonino Raspanti.

«O Dio, mio re, voglio esaltarti e benedire il tuo nome in eterno e per sempre. Ti voglio benedire ogni giorno, lodare il tuo nome in eterno e per sempre» (Salmo 145).

Con queste parole desidero innalzare un inno di lode a te, Signore mio Dio, per i doni del tuo amore. Sento il dovere di celebrare il dono, la bellezza e il destino di questa fugace esistenza. Contemplo la vita come dono, mistero, storia d’amore, e faccio memoria di questo mirabile intreccio di vita e di vite. Guardo con ammirazione a quel primitivo intreccio di vita del quale sono frutto, quello dei miei familiari, a cui devo i primi rudimenti di vita e di amore. Tu, grande tessitore, hai preparato l’ordito e la trama per intrecciare la mia ad altre vite, facendo muovere i miei primi passi di vita e di fede in compagnia di gente semplice e umile, i fedeli della comunità di Cosentini. In quella comunità, attraverso la catechesi e i sacramenti di iniziazione cristiana, mi hai inserito nel mistero della pienezza della vita in Cristo. Quella comunità, sotto la guida di un giovane e zelante parroco, mi ha educato ad essere discepolo di Gesù e a riconoscere Maria come madre. Le tue parole mi vennero incontro ed io ho imparato a gustarle. Mi hai fatto provare la gioia di stare con te, nel fascino della bellezza divina, e mi hai chiamato a rendere la mia vita dono d’amore nel sacerdozio ministeriale. Nel dono e mistero della mia vocazione e del mio ministero avverto ancora oggi la presenza di persone che hanno pregato e offerto la loro vita per me, per i sacerdoti, per la Chiesa e la salvezza del mondo.

Ti lodo, Signore, per il susseguirsi di intrecci di vite con diversi sacerdoti che hanno curato la mia formazione. Molti di essi vivono la pienezza della vita in Cristo. Li sento ancora vicini a me con i loro insegnamenti ed esempi di amore grande a Dio e alla Chiesa. Ed ancora altri sacerdoti mi hai dato la grazia di conoscere ed apprezzare, sacerdoti poi divenuti confratelli. Grazie, o Signore della Vita, perché, dopo cinque anni di sacerdozio, mi hai dato la grande gioia di vedere Giovanni, mio cugino e figlioccio di Cresima, diventare confratello nel presbiterato.

Ripensando a quel 15 settembre di venticinque anni fa e alla celebrazione avvenuta in questa Basilica Cattedrale non posso non ricordare con gratitudine il vescovo che ha invocato su di me il dono dello Spirito mediante l’imposizione delle mani. Ti rendo lode, Signore, perché hai scelto il vescovo Giuseppe Malandrino come pastore di questa Chiesa. Nitido è il ricordo d’infanzia quando lo vidi entrare in diocesi. Memorabile il giorno della mia Cresima quando, comunicando con parole e gesti l’ardore della testimonianza, mi unse con l’olio del crisma. Grande la trepidazione nel giorno in cui mi accolse in Seminario con quella paternità e attenzione che caratterizzarono gli anni della mia formazione. E poi l’ammissione, i ministeri e le ordinazioni diaconale e presbiterale. Ogni ordinazione, come quella avvenuta qui venticinque anni fa, era da lui vissuta intensamente, come se fosse un parto, un generare per la Chiesa nuovi figli chiamati a diventare padri. Grazie per la sua presenza qui tra noi.

Nei primi anni di ministero ho servito questa Chiesa sotto la guida dei vescovi Salvatore Gristina e Pio Vigo. A loro va la mia gratitudine e l’affetto filiale. Fra i vescovi un pensiero speciale va a mons. Paolo Urso, don Paolo, mio docente al Liceo e allo Studio Teologico. Lo ringrazio per l’affetto mostrato sempre nei miei riguardi.

Ti rendo lode, o Signore, per le comunità nelle quali ho esercitato il mio ministero. Ricordo con gratitudine le prime esperienze vissute da studente a Roma presso la parrocchia Santa Maria Consolatrice a Casalbertone ed in particolare quella che ha lasciato il segno nella mia vita di sacerdote: i sedici anni di ministero pastorale ad Acitrezza. Che grande onore stare sotto lo sguardo del mio grande santo Giovanni il Battista e della Vergine Maria Causa nostrae laetitiae. Anni intensi di fatiche, gioie e speranze, nei quali sono cresciuto camminando con la comunità e accompagnando il cammino di fede di una generazione di fedeli. Ricordo con affetto i colleghi e gli alunni dello Studio Teologico San Paolo. A questi ultimi ho cercato di trasmettere l’amore per la Chiesa che cammina nei sentieri della storia.

Tu solo, o Signore, conosci l’arte dell’intreccio delle vite, la trama e l’ordito, per realizzare meravigliosi tessuti di vita e di amore. “Le nostre povere vite non sono nulla di per se stesse, sono come parole staccate dal contesto. Ma con esse Dio compone poemi maestosi” (Georges Bernanos).

E ora sono qui, a servizio di questa Chiesa che ho sempre amato. In quanto archivista ne custodisco la memoria e desidero che mediante la conoscenza della sua storia la Santa Chiesa di Dio che vive nel territorio della Diocesi di Acireale sia amata ancora di più. Sono qui a vivere il presente di questa Chiesa, nel mutare delle condizioni legate ai tempi, sforzandomi di lavorare per il suo futuro. Sono qui, chiamato dal vescovo Antonino a collaborare con lui per amore di questa Chiesa. Lo ringrazio per la fiducia e per gli insegnamenti che quotidianamente mi offre, per il lavoro tenace che caratterizza il suo ministero tra noi. Lo ringrazio per aver rivolto l’invito ai sacerdoti e alla comunità per questa celebrazione. Rinnovo il mio impegno di servizio per l’annuncio del Vangelo del Regno, per la Chiesa e in comunione con la Chiesa. Ringrazio i sacerdoti e il personale della Curia diocesana con i quali condivido quotidianamente il lavoro a servizio di questa Chiesa. Tra le varie comunità di cui è composta la nostra Diocesi il mio pensiero speciale va a quelle colpite dal terremoto, comunità che in poco tempo si sono svuotate per l’esodo degli abitanti e per la mancanza della chiesa e dei locali parrocchiali. Prometto di continuare a stare vicino a queste comunità come ho tentato di fare fino ad oggi. Un grande grazie alla comunità diocesana qui presente in tutte le sue componenti: religiosi, religiose, diaconi permanenti, la cara comunità del Seminario, la Consulta delle Aggregazioni Laicali con il suo presidente, la comunità della Cattedrale con il suo parroco, il coro.

A voi, cari confratelli nel sacerdozio, esprimo tutto il mio affetto. Questa sera e soprattutto nella giornata di domani farò memoria del grande dono ricevuto e del mio inserimento nel presbiterio diocesano. Siate fieri di appartenere al presbiterio della Chiesa acese! Lavoriamo insieme per costruire il presbiterio. Manteniamo la misura alta della fede. Teniamo fisso lo sguardo su Gesù, pastore e guida delle anime. È bello stare con lui, contemplare lo splendore del suo volto. Ma dopo aver contemplato bisogna scendere a valle. Meditando sulla Trasfigurazione del Signore Sant’Agostino si sofferma a riflettere sulla figura dell’apostolo Pietro, che ci rappresenta: «Scendi, Pietro; desideravi riposare sul monte: scendi, predica la Parola di Dio, insisti in ogni occasione opportuna e importuna, rimprovera, esorta, incoraggia, usando tutta la pazienza e la tua capacità di insegnare. Lavora, affaticati molto, accetta anche le sofferenze e i supplizi affinché, mediante il candore e la bellezza delle buone opere, tu possegga nella carità ciò che è simboleggiato nel candore delle vesti del Signore».

Anche a noi presbiteri, e a me, tu dici: «pasci le mie pecorelle», le mie, le mie … le mie come mie e non come tue. Cerca in esse il mio guadagno, non il tuo, la mia gloria, non la tua, il mio profitto, non il tuo. Non puoi essere amante di te stesso se vuoi pascere il gregge di Cristo. Se cerchiamo te, Signore Gesù, e viviamo in te diventiamo veri ministri e profeti. Il nuovo è veramente nuovo se realmente porta i segni dell’Uomo nuovo, Colui che è morto e risorto. Tutto il resto è paglia che viene bruciata e si dissolve.

Per questo ti chiedo perdono, o Signore. Quante paure in me, uomo di poca fede. Non mi sono lasciato condurre dal tuo amore. Quante volte hai dovuto ripetermi “non temere … coraggio, alzati”. A volte sono come Giona e mi chiedo: perché hai scelto me? Perché devo andare proprio io a predicare la conversione a Ninive? Confesso di non aver compreso il mistero della croce mediante il quale la mia debolezza viene accolta e trasformata in potenza di Dio. Ma io so che sei tu che agisci in me per rendermi partecipe del tuo mistero d’amore. C’è tanto cammino da fare per essere anzitutto veri discepoli ed entrare nel mistero di Cristo. San Gregorio Nazianzeno ripensando alla sua vocazione affermava: «Ma come potevo accettare il sacerdozio quando ancora non capisco cosa è Cristo per me? Io non lo capisco, perché delle ricchezze inesauribili della persona sacra di Cristo, delle ricchezze della grazia e della scienza di cui è piena la sua umanità, io ne so poco. Allora, chi non conosce cos’è Cristo, le sue prerogative divine, le sue prerogative umane … come può diventare sacerdote?».

In questi anni mi è sembrato di aver compiuto il cammino di Elia, che è il pellegrinaggio della fede, della purificazione del cuore, che conduce verso la teofania dell’Oreb, il monte santo (1 Re 19,1-18). È il cammino paradigmatico per tutti coloro che intendono svolgere un ministero ecclesiale. Nel momento della paura e della grande delusione Dio interviene con delicatezza paterna. Un angelo lo sveglia e gli ordina di alzarsi e mangiare. Dio non lo lascia in balìa di se stesso e delle forze ostili. Egli è il totalmente altro. Bisogna accettare i suoi tempi e conformarsi al suo stile. Nei deserti della nostra vita, nel buio della notte e della nostra fede, la Parola di Dio prima o poi arriva, ci raggiunge e non passa senza prima avere lasciato una traccia nella mente e nel cuore di ciascuno di noi. Siamo chiamati al confronto con la società che si trasforma e interroga la Chiesa. Non si può restare inerti né limitarsi a riproporre il Vangelo in maniera asettica. Noi presbiteri siamo chiamati a percorrere e ad indicare la via della vita interiore da custodire e coltivare. È questa e non altra la nostra missione.

Ti affido la mia vita, o Signore. Non permettere che io mi allontani da te o che sia di ostacolo alla tua grazia. So che da sempre hai posato su di me il tuo sguardo. I miei occhi sono rivolti al Signore. Aiutami a tenere fisso lo sguardo su di te con la certezza che tu sei con me. Alle spalle e di fronte mi circondi e poni su di me la tua mano.

Vergine Maria, Regina del Santo Rosario, il tuo dolce e materno sguardo è scolpito nel mio cuore. Continua a volgere su me gli occhi tuoi misericordiosi e mostrami dopo questo esilio Gesù, Colui che è per tutti noi la Via, la Verità e la Vita, l’eterno Amore.

Don Giovanni Mammino

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