La Domenica del Papa / È tempo di misericordia. “Le situazioni di miseria sono per Dio occasioni di misericordia”

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L’incontro tra Cristo e il cieco di Gerico è occasione per riflettere sul nostro modo di porci di fronte alle situazioni di _CG12779pchi si trova in difficoltà. Gesù compie un miracolo, uno dei tanti nel suo andare verso Gerusalemme. Ma questo ha una novità: è l’unica volta che il miracolato ha un nome, Bartimeo, figlio di Timeo. Un uomo che sedeva lungo la strada e che appena sente che passa Gesù subito si rivolge a lui chiamandolo figlio di Davide. Grida forte, Bartimeo, per farsi udire mentre i discepoli cercano di zittirlo. Gesù ci dice che anche nella città di Gerico, città maledetta, il Signore non fa mancare la sua grazia, la sua misericordia. Viene alla mente la parabola del Tamud – accanto alla Bibbia, libro sacro per l’ebraismo – dei due troni di Dio: per tre ore al giorno siede e giudica il mondo intero. Quando vede che il mondo merita di essere distrutto per la prevalenza del male, si alza dal trono di giustizia e siede sul trono della misericordia.
La grande lezione del Signore è proprio nella “medicina della misericordia” per usare l’espressione cara a Giovanni XXIII. Di fronte al tentativo di bloccare la sua richiesta da parte dei discepoli, proprio a loro Gesù chiede di andare a chiamare Bartimeo. Usano due parole – coraggio, alzati – che solo Gesù pronuncia nel resto del Vangelo, come ricorda il Papa nella sua omelia in San Pietro, a conclusione del Sinodo dei vescovi. Bartimeo rappresenta un po’ tutti noi, distratti come siamo dai nostri egoismi, sordi alle voci che un po’ ci disturbano perché chiedono accoglienza, attenzione. Voci di coloro che cercano un futuro diverso, migliore, come quelle moltitudini che affollano le strade d’Europa: “Una realtà drammatica dei nostri giorni”. Una realtà che fa dire a Papa Francesco: “Queste famiglie più sofferenti, sradicate dalle loro terre, sono state presenti con noi nel Sinodo”. E ancora: “Queste persone in cerca di dignità, queste famiglie in cerca di pace rimangono ancora con noi, la Chiesa non le abbandona, perché fanno parte del popolo che Dio vuole liberare dalla schiavitù e guidare alla libertà”.
A Bartimeo Gesù rivolge una domanda che tutto sommato possiamo ritenere inutile, perché egli sa cosa vuole il povero che ha di fronte. Eppure, lo stesso gli chiede: che cosa vuoi che io faccia per te? È la stessa domanda che domenica scorsa abbiamo letto nel Vangelo rivolta ai due fratelli, Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo. Questi ultimi erano preoccupati della loro immagine, del loro potere chiedendo che venissero loro riservati i primi posti. Bartimeo è cieco e la sua vita dipende dalla generosità degli altri, da quei pochi soldi che gli vengono lasciati per procurarsi un po’ di cibo. Ma alla richiesta dei discepoli di alzarsi per andare da Gesù, non ha dubbi: lascia l’unica cosa preziosa che ha, ovvero il mantello per ripararsi dal freddo, e si avvicina al Maestro. Che differenza di atteggiamento dal giovane ricco che non sa rinunciare al suo denaro o ai due figli di Zebedeo che chiedono solo potere. Bartimeo invece non si scoraggia, sa che il Maestro gli rivoluzionerà la vita, come lo sa la donna che, nascosta tra la folla, semplicemente sfiora il mantello di Gesù: lei non chiede altro, perché sa che quel semplice contatto l’aiuterà.
Francesco, nella sua omelia in San Pietro, ci ricorda che “le situazioni di miseria e di conflitto sono per Dio occasioni di misericordia. Oggi è il tempo di misericordia”. E mette in guardia dalla tentazione di una “spiritualità del miraggio”, una fede che non sa radicarsi nella vita e crea nuovi deserti: “Possiamo camminare attraverso i deserti dell’umanità senza vedere quello che realmente c’è, bensì quello che vorremmo vedere noi”. Mette in guardia, il Papa, da una “fede da tabella”, tentazione che ci fa “camminare con il popolo di Dio”, ma con la nostra tabella di marcia, “dove tutto rientra: sappiamo dove andare e quanto tempo metterci; tutti devono rispettare i nostri ritmi e ogni inconveniente ci disturba”. Il rischio è di “diventare abitudinari della grazia. Possiamo parlare di lui e lavorare per lui, ma vivere lontani dal suo cuore, che è proteso verso chi è ferito”.

Fabio Zavattaro

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