Letteratura siciliana / Aci Catena non dimentica Francesco Guglielmino poeta

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foto Etna

Tra i poeti della storia siciliana, non merita di essere dimenticato Francesco Guglielmino, figlio di Aci Catena, nella provincia di Catania. Premettiamo che, spesso, si pensa che per diventare scrittori si debba, o almeno dalle nostre parti, si debba usare esclusivamente l’italiano. Oggigiorno, se pensiamo a questo potremmo immaginare Andrea Camilleri, scrittore che in effetti usava spesso il dialetto nelle proprie opere, ma prima di lui ci sono stati altri autori a fare la stessa cosa per valorizzare un dialetto, specie quello siciliano. Parliamo però, in questo caso, del poeta Francesco Guglielmino e della sua opera più conosciuta: “Ciuri di strata”.

Francesco Guglielmino: “Ciuri di strata” / Breve biografia

Uno di questi è Francesco Guglielmino. Egli è stato un poeta, ma soprattutto insegnante di letteratura greca al Liceo Spedalieri e poi all’università di Catania dal 1932 al 1946. La sua opera più nota è Ciuri di Strata, pubblicata nel 1922. La sua importanza però non la si può ricondurre al suo operato come poeta e insegnante, quanto piuttosto come maestro e filo conduttore tra la generazione del verismo e quella di vari scrittori siciliani della prima metà del novecento. Difatti spesso si riuniva nella villa di don Salvatore Tropea curando i rapporti con Giovanni Verga e Federico de Roberto (cui ha contribuito all’introduzione dell’opera di Ciuri di Strata); mentre l’operato come insegnante ha fatto nascere l’amicizia con Vitaliano Brancati.

Ma in cosa trovavano in comune tutte queste personalità? Erano persone colte, benestanti, che oltre ad avere un luogo dove riunirsi solitamente, avevano in comune una volontà di scrivere. Scrivere però con una mentalità diversa da quella militante che di lì a poco avrebbe dominato il novecento. Parlavano della realtà della loro terra, e a volte non esitavano a divagare di vari temi nelle loro opere oltre che semplicemente scrivere a tratti o totalmente in dialetto. Francesco ne è stato il nesso in tutto ciò, portando questa eredità oltre Verga e De Roberto, morti rispettivamente nel 1922 e nel 1927, tenendo salda l’amicizia col suo allievo Brancati fino a quando, pentito della propria collaborazione col fascismo, ha cominciato a scrivere il Don Giovanni di Sicilia e poi il Bell’Antonio, scambiando lettere con lui fino alla sua morte avvenuta nel 1954.

Due anni dopo si spegne pure Francesco, portando a conclusione il lungo percorso di connessione tra ottocento e novecento della letteratura siciliana.

Emanuele Russo

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