Ricordo / La tragica fine di don Gerlando Re il 18 giugno del 1949

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Don Gerlando Re

«Carmelo!» «Dimmi padre Stefano». «Mi devi promettere una cosa?» «Cosa?» «Che nell’agenda della tua vita ti ricorderai di una data». «Quale?» «Quella del 18 giugno 1949». «Che data è, padre Stefano?» «Il giorno del martirio di don Gerlando Re. Promettimi che ogni anno celebrerai una Messa, inviterai a pregare in suo suffragio. E, fino a quando sarai direttore del settimanale, lo ricorderai ». «Te lo prometto».

È questa una delle ultime conversazioni che ebbi con don Stefano Pirrera, prima che riconsegnasse la vita al suo Creatore, il 30 maggio 2013 nella “RSA Nicastro” di Casteltermini.
Ricordo che mi ringraziò con un sorriso che per un attimo trasfigurò il suo volto segnato dalla sofferenza fisica mentre i suoi occhi accennavano a lacrimare.
Eccomi qui ad onorare l’impegno assunto. L’occasione, inoltre, è propizia per un invito alla comunità ecclesiale a coltivare la memoria dei testimoni della fede e dei santi. Quanti giovani potrebbero incontrare la luce della santità, se noi adulti vivessimo da santi, parlassimo della santità e facessimo conoscere loro i tanti santi. Anche quelli “della porta accanto”, figure che hanno segnato la storia della Chiesa e di cui la nostra è ricca. Si, tiriamo giù i santi dalle nicchie delle nostre chiese, dagli scaffali delle nostre librerie!

Chi, in parrocchia, nei gruppi e movimenti, in famiglia, narra più la vita dei santi e di testimoni del Vangelo come don Gerlando? Chi regala più agiografie ai propri ragazzi? Purtroppo anche noi adulti, educatori, presbiteri – lo ricordo prima di tutto a me stesso – come i cavalieri della tavola rotonda che incontrandosi alla corte di re Artù, narravano delle loro imprese, anche noi, sovente, alla corte del “regno dei social” preferiamo narrazioni selfiste, compulsive e autoreferenziali,  per video e immagini, delle nostre gesta piuttosto che le narrazioni dei  testimoni del Vangelo che tanto hanno da dire oggi. Perché hanno dato concretezza alla loro fede e non davanti un aperitivo, ma con scelte di vita coerenti e credibili.

don Gerlando e un gruppo di giovani
Don Gerlando con un gruppo di giovani (foto da www.dongerlandore.it)

Eppure non sono poche le storie di chi racconta come l’incontro con un testimone credibile della fede, sia stato per lui come una scintilla che ha innescato una conversione culturale, sociale, individuale. Una conversione dall’egoismo all’altruismo, dall’io all’impegno “per” e “nella” comunità.

È stata questa l’esperienza di tanti giovani Ciancianesi e di non pochi studenti del nostro seminario, tra questi don Stefano, che al termine della sua esistenza è riuscito a strapparmi quella promessa. E nel 2009, a 60 anni dal martirio di don Gerlando Re, così lo ricordava sulle pagine de L’Amico del Popolo.

Cianciana, 18 giugno 1949 don Gerlando Re viene ucciso

Era un sabato pomeriggio. Don Gerlando è in casa, sta recitando il Breviario, dalla finestra della sua abitazione si può osservare la gente che passeggia tranquillamente. All’improvviso, si odono degli spari. La gente fugge spaventata alla vista di un folle omicida che ha già fatto una vittima e spara all’impazzata.
Don Gerlando si affaccia alla finestra, si rende conto della tragedia. Incurante della zia che gli grida di non andare, perché potrebbe essere ucciso, si precipita fuori. Vede, a terra, un uomo in una pozza di sangue. Si china per dare l’assoluzione al morente, mentre tenta di calmare l’omicida. Ma questi gli è addosso e, infuriato, spara alla testa gridando: “Così finirai di confessare”.

“Morire a trentatré anni tra la propria gente, conosciuta ed amata da sempre, dimostrando col supremo sacrificio di essersi impegnato a dare tutto, non può essere un fatto occasionale: c’è la rivelazione di un disegno divino.
Se don Gerlando – scriveva don Pirrera – invece di chinarsi a confortare la vittima, avesse badato a disarmare l’omicida, probabilmente ci sarebbe riuscito. Dotato, infatti, di una forza fisica e prontezza di riflessi non comuni, aveva già dimostrato, più volte, di sapere risolvere situazioni pericolose, mettendo a rischio la propria incolumità. Come quando riesce a bloccare un mulo imbizzarrito, che trascina un ragazzo insanguinato rimasto impigliato nella sella.

Intrepido e generoso per natura, don Gerlando metteva a disposizione di tutti queste doti, illuminandole con una fede convinta ed entusiasta. Un giovane apostolo di Cristo, come don Gerlando, maturato al fuoco dello Spirito Santo, in dodici lunghi anni di preghiere e studio non può non vivere in maniera incandescente la Fede nel Maestro e nel Suo Vangelo. Fede che traduceva, quotidianamente, in opere di gioiosa carità, alla cui realizzazione coinvolgeva i ragazzi della Parrocchia.

Per i suoi giovani e le loro famiglie, don Gerlando era un vero oracolo. Gli adolescenti, specie se studenti alle prese con il latino, il greco e la filosofia, facevano le ore piccole per concludere una versione o rendersi conto del concetto socratico o delle idee di Platone. Cultura classica e moderna mai fine a sé stesse e tantomeno per imporsi all’attenzione degli altri. Ma da utilizzare come pedana di lancio verso le verità eterne cui agganciare mente e cuore dei ragazzi, indecisi tra Marx e Cristo.

La lotta tra comunismo e Cristianesimo – annotava – allora, nei nostri paesini, poveri e male istruiti, era dura e, a volte, crudele. I Preti venivano additati come amici dei ricchi e sostenitori del malgoverno, ma nessuno poté convincere i minatori e i contadini di Cianciana che Don Gerlando non fosse uno di loro. Uno pronto a dare la vita per difenderli dal male e da ogni ingiustizia. Così, quando lo si vide a terra, il capo insanguinato e il suo sangue confuso con quello della vittima, che generosamente aveva tentato di aiutare, il “suo popolo” accorse da ogni parte e non poté nutrire più dubbi che “Non c’è amore più grande di chi è disposto a dare la vita per chi si dice di amare”.

Alla notizia della sua eroica morte, non furono solo i giovani di Cianciana a raccogliere l’eredità della perenne giovinezza di don Gerlando Re. C’erano anche i suoi confratelli sacerdoti di tutta la Diocesi agrigentina, che sentirono vivificare le proprie energie. Quasi fosse avvenuta una trasfusione col suo sangue generoso.
Ma, in particolare, c’erano quegli undici diaconi (il riferimento di don Stefano è autobiografico, ndr) che, trepidanti, si preparavano a ricevere, fra qualche giorno, l’Ordinazione sacerdotale. La notizia non ebbe per loro sapore di morte o di tragedia. Ma la sentirono portata dal Vento dello Spirito che, fugando ogni dubbio ed incertezza, li confermava nell’impegno di seguire il Maestro, disposti a donare anche la vita”.

Carmelo Petrone

(pubblicato nul n.18/2023 de “L’Amico del Popolo”)

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