Scientifica / Ambiente, lo zampino dell’uomo. Uno studio di M. Fischer e Knutti individua le responsabilità

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Il verificarsi crescente di fenomeni climatici nuovi ed inaspettati, nelle varie aree del nostro pianeta, attira sempre più l’attenzione e l’analisi degli studiosi, preoccupati per l’impatto globale che questi mutamenti possono avere sugli equilibri dell’ecosistema. Non si tratta solo di cambiamenti relativi alle medie climatiche, registrate in aumento, ma anche dell’aumentata frequenza e intensità di fenomeni atmosferici estremi. Diventa quindi sempre più urgente comprenderne meglio le cause per mettere in atto i possibili rimedi, prima che si verifichino danni irreparabili e gravi all’ambiente, su scala mondiale.rispetto-natura

Ad oggi, le prove del progressivo aumento delle temperature globali continuano ad accumularsi, e così pure quelle che indicano che buona parte di esso è dovuto alle attività umane. Tuttavia, il collegamento tra l’aumento di frequenza di eventi meteorologici estremi (come ondate di calore, inondazioni e siccità) e l’aumento delle temperature, finora, è stato sostenuto da considerazioni prevalentemente di carattere generale: per esempio, temperature più elevate e più elevati livelli di umidità nell’atmosfera rendono più facile lo scatenarsi di forti precipitazioni. Per dare dunque un fondamento più solido all’affermazione, sarebbe necessaria un’accurata valutazione quantitativa della correlazione fra aumento delle temperature globali e aumento della frequenza degli eventi estremi. Ci hanno provato in un recente studio (pubblicato su “Nature Climate Change”) Erich Markus Fischer e Reto Knutti, del Politecnico di Zurigo. I due ricercatori mostrano come l’attività umana sia sicura concausa del verificarsi di alcuni fenomeni atmosferici estremi, come ondate di calore e forti precipitazioni. In più, essi provano a determinare quale frazione dell’occorrenza complessiva di questi fenomeni sia effettivamente dovuta all’azione umana. Per fare questo, Fischer e Knutti hanno analizzato le temperature e le precipitazioni totali giornaliere relative al periodo 1901-2005. Come eventi estremi i ricercatori hanno preso in considerazione quelli che, in una determinata area, si verificano in media una volta ogni 1000 giorni (circa una volta ogni 3 anni). Hanno poi confrontato questi dati con quelli delle proiezioni di 25 differenti modelli climatici per il periodo 2006-2100. I dati così ottenuti indicano che circa il 75% delle ondate di calore e il 18% delle precipitazioni estreme che avvengono oggi nel mondo hanno origine antropogenica. Naturalmente, le percentuali appena riportate si riferiscono all’attuale valore del riscaldamento globale, stimato in 0,85°C rispetto alle temperature medie del periodo pre-industriale (termine di riferimento adottato). Ma bisogna tenere conto che la probabilità di questi eventi estremi non aumenta in modo lineare. Un ulteriore riscaldamento fino a 2°C, infatti, comporterebbe una probabilità doppia di precipitazioni estreme rispetto a un riscaldamento di 1,5 °C. In pratica, con un aumento di 2 °C, l’impatto dell’uomo sul clima sarebbe responsabile di ben il 40% di tutte le piogge in grado di innescare eventi alluvionali.

Fischer e Knutti avvertono però che le mappe di probabilità di aumento del rischio di eventi estremi che hanno ottenuto non sono applicabili a singoli eventi, ossia non è possibile dire se uno specifico evento sia imputabile al riscaldamento di origine antropica o no. Quanto agli effetti di queste anomalie meteorologiche, essi possono variare molto da luogo a luogo e da un anno all’altro, poiché dipendono da vari fattori, come ad esempio la presenza di El Niño (fenomeno climatico periodico, che si verifica nell’Oceano Pacifico, responsabile di inondazioni, siccità e altre perturbazioni). Tuttavia, queste mappe (e i loro eventuali raffinamenti su scala locale) possono risultare molto utili per ridurre i possibili danni, se messe in relazione con le mappe di vulnerabilità dei vari territori. L’esame delle mappe finora realizzate dai ricercatori mette in evidenza come risultino particolarmente a rischio le zone tropicali e molti stati insulari.

Una cosa è certa: di fronte all’accertata (mancanza di) responsabilità umana all’origine di molti fenomeni atmosferici devastanti, che causano sofferenze e morte per milioni di persone, si impone un’urgente  e determinata presa di posizione da parte degli Stati, a salvaguardia dell’ambiente vitale e a presidio delle generazioni attuali e future. Al contrario, puntare sul mero profitto economico senza prestare attenzione al creato, si rivela già da subito una scelta miope ed immorale, che finisce per rivoltarsi contro se stessa. A noi la scelta.

Maurizio Calipari

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