Solidarietà/ Inclusione, trasformazione, legalità: così la cooperativa “Ro’ la formichina” aiuta disabili e giovani detenuti

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«Sono entrato in carcere a 17 anni e ne uscirò a 33. Sarò libero, ma libero di fare cosa se nessuno mi darà una possibilità?» Salvatore (nome di fantasia) ha 23 anni e un pensiero lo tormenta: «Quando mi hanno arrestato la terza volta avevo 17 anni. Quando uscirò, avrò 33 anni. Chi mi prenderà a lavorare? Non so fare nulla e mi vedranno solo come un ex carcerato. E poi sarò libero, ma libero di fare cosa se nessuno mi darà una possibilità?».
La provincia di Catania è al quinto posto in Italia per numero di minori e giovani adulti (fino a 25 anni) affidati al servizio di Giustizia Minorile. Dei 17 Istituti Penali Minorili italiani, 2 si trovano in questo territorio. La cooperativa sociale Ro’ la formichina nasce nel 2001 per rispondere ai bisogni educativi e occupazionali dei ragazzi disabili delle case famiglia e delle famiglie della Comunità Papa Giovanni XXIII in Sicilia. Col tempo la cooperativa si apre sempre di più all’accoglienza dei ragazzi detenuti nei 2 carceri minorili di Acireale e di Catania, offrendo loro non solo periodi di tirocinio e borse lavoro, ma soprattutto competenze lavorative e prospettive nuove, grazie al fondamentale supporto dell’8X1000 della Chiesa Cattolica e della Diocesi di Acireale«Lavorando in falegnameria ho imparato ad avere pazienza e ho scoperto di essere capace di fare molto di più di quello che immaginavo. E mi sono chiesto: ‘Ma se davvero so fare tutto questo, perché devo bruciare la mia vita?’ Ho scoperto che sono capace di costruire. Ora voglio costruire il mio nuovo futuro». A parlare è A., 24 anni, che ha svolto un tirocinio mentre era detenuto in carcere.

La falegnameriaInclusione, trasformazione, legalità. Tre parole che riassumono l’impegno di tutta la cooperativa e quindi anche del settore dedicato alla falegnameria.
«Privilegiamo i lavori in cui i nostri ragazzi possono essere coinvolti», spiega Alberto Pennisi, responsabile di questo settore. Includere i disabili coinvolgendoli nell’attività produttiva è stata la scintilla che ha messo in moto Ro’ la formichina, partita proprio col laboratorio di falegnameria. Trasformare un pezzo di legno in un mobile è già qualcosa che suscita stupore. Ancor più significativo è trasformare il legno recuperato dai barconi dei profughi in crocifissi: «Alcuni sono stati regalati ai vescovi come pastorali» spiega Alberto. Recuperare il legno dei barconi non è semplice: «Possono passare anche degli anni per ottenere un’autorizzazione, perciò abbiamo un deposito dove custodiamo “gelosamente” il legno dei barconi». In falegnameria non si trasforma solo il legno, ma anche il destino delle persone: diversi ragazzi con un passato di devianza si rendono conto di riuscire a fare molte cose e di non aver bisogno di delinquere per sopravvivere. Ai giovani detenuti deve fare un certo effetto leggere il cartello appeso all’ingresso: «Nella nostra cooperativa non si paga il pizzo a nessuno. Dio solo è la nostra forza, a Lui solo siamo debitori». Lavorare nella legalità, a costo di rimetterci, è una grande testimonianza in terra siciliana: «Molte volte perdiamo dei lavori perché non accettiamo il lavoro in nero – spiega Alberto – ma questa è la via giusta, altrimenti che cosa vogliamo trasmettere ai ragazzi del carcere?».

Le api e le lumache
Da qualche anno la cooperativa si è arricchita de “La casa di Alberto”, un laboratorio di apicoltura che produce 9 tipi di miele: un altro settore in cui la fatica del lavoro è ripagata dalla soddisfazione di vedere i frutti dell’impegno.
«Quando lavoravo con le api avevo paura. Con il tempo, però, ho capito che quella paura mi stava aiutando: mi costringeva a stare tranquillo, a muovermi lentamente, ad essere delicato. Ora ragiono molto di più sulle cose. Se solo avessi saputo farlo anni fa, quando ho commesso quegli errori che mi hanno portato qui in carcere, la mia vita sarebbe diversa. Ma, davanti a me, ho di nuovo una scelta e questa volta non sbaglierò». Lo dice T., 22 anni, uno dei tanti ragazzi che ha sperimentato i benefici del tirocinio nell’apicoltura.
«C’è un legame ‘fisico’ col carcere di Bicocca a Catania – dice Domenico D’Antonio, responsabile dell’apicoltura – perché dista solo pochi km da noi ed è visibile dal nostro terreno. In questi anni sono passati da noi diversi ragazzi detenuti: l’incontro con loro ci sta cambiando la vita e la cambia anche a loro! In questi anni ho visto che è possibile rigenerare una vita, anche se ci sono alle spalle dei delitti pesanti». Per dare risposta a più ragazzi in carcere è stato attivato da poco l’elicicoltura, ossia l’allevamento di lumache a scopo gastronomico. «Allevare le lumache o le api richiede l’attenzione per la natura» spiega Marco Lovato, presidente di Ro’ la formichina. «L’elicicoltura in particolare aiuta a capire l’importanza di darsi tempo, facendo fatica portandoti anche la casa sulle spalle. C’era il desiderio di trasmettere ai ragazzi questo: Procedi con calma, anche se hai un peso sulle spalle, ma va’ avanti».Il Centro Diurno
Come tante formichine operose, i ragazzi del centro diurno sono coinvolti in molteplici attività: laboratori di teatro, danza, musica, pittura, confezionamento di bomboniere, laboratori di cucina e di cucito, yoga e psicomotricità. «Non facciamo queste attività per tenerli impegnati, ma per aiutarli ad esprimersi e per valorizzarli in quello che sanno fare» spiega Laura Lubatti, responsabile del centro diurno. «Mi stupisce ogni volta vedere come riescono ad arrivare al cuore di ogni persona. Abbiamo fatto percorsi molto belli nel carcere minorile di Acireale, in quello per adulti di Giarre e uno anche nella scuola media della zona. Attraverso i laboratori teatrali, dove noi operatori abbiamo messo la tecnica, i nostri ragazzi ci hanno messo il coinvolgimento e la loro capacità di comunicazione così coinvolgente». Un giovane carcerato confidava: «Sono abituato a far paura alla gente, ma a lui (un disabile grave, ndr) non faccio paura, quindi è inutile che io ci provi!». Davanti ai ragazzi disabili, i detenuti, anche i più incalliti, sentono crollare tutte le loro difese e tirano fuori una tenerezza inaspettata. Una piccola breccia che può cambiare il corso di una vita intera.

Ro’ e Alberto
Perché la cooperativa si chiama proprio così? Ro’ era il soprannome affettuoso di Rosario, un ragazzo accolto in casa famiglia e morto improvvisamente a soli 14 anni. I ragazzi con disabilità o devianza cercano il loro cammino di speranza in cooperativa, portando un peso che sembra superiore alle loro forze, ma proprio come le formiche, che sanno sollevare pesi 5 volte superiori a loro stesse, riescono a farcela. Invece il laboratorio “La Casa di Alberto”, che produce 9 tipi di miele biologico certificato ICEA, è affettuosamente dedicato ad Alberto, un bimbo idro-anencefalo che è stato accolto come un figlio in una casa della Comunità Papa Giovanni XXIII.

 

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