Violenza sulle donne / Cantarella: chiamarlo amore non si può

In occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne che ricorre oggi, 25 novembre, riportiamo la riflessione della dottoressa Pamela Cantarella sul tema. Una riflessione che richiama l’importanza di un supporto a queste donne, affinché prendano consapevolezza dei propri diritti. Affinché escano dall’annullamento che sono costrette a subire. Comprendendo di avere in mano il potere di voltare finalmente pagina e uscire da quell’incubo che “chiamare amore non si può”.

“Chiamarlo amore non si può!”
“Voglio forbici!
Oh no, non per ferire.
Voglio forbici per tagliare i fili
che mi legano a questa prigione
che lui chiama amore”
(P. BETTIOL)

Violenza sulle donne / Cantarella: chiamarlo amore non si può

È inaccettabile che certe donne subiscano violenza proprio dall’uomo da cui non avrebbero mai pensato di riceverla, dall’uomo su cui hanno investito il loro amore. Nel non voler comprendere ed accettare un tradimento più grande di ogni altro, sembrano volergli dire: “un estraneo può farmi del male, ma non tu. Tu non puoi, perché sei l’uomo a cui mi sono legata in nome di un sentimento che credevo fosse Amore”. Ma evidentemente non era amore il suo, perché quello vero non contempla la violenza. Un amore sano non prevede in alcun modo il maltrattamento e/o la distruzione dell’oggetto amato. Anzi ne tutela l’integrità e ne garantisce la protezione.

“In una relazione positiva la coppia sa gestire l’aggressività intrinseca asservendola alla complicità e all’intimità, sia in ambito emotivo che sessuale. All’interno di essa i due partner hanno l’opportunità di sperimentare uno spazio vitale fatto di reciproco rispetto, libertà e autonomia” (F. Delicato). L’amore è un’esperienza emotiva e relazionale in cui due vite psichiche si incontrano e si intrecciano. Esperienza che risente inevitabilmente di alcune caratteristiche psicologiche di entrambi i soggetti riguardanti le loro capacità riflessive e di regolazione affettiva. Gli stili di attaccamento, i fantasmi inconsci, oltre che delle specifiche configurazioni di personalità. Quando queste funzioni risultano compromesse il rapporto assume una “valenza tossica” che finisce con l’annientare qualsiasi senso di libertà, crescita e piacere reciproco (G. Capraro).

Violenza sulle donne / Cantarella: voltare pagina si può?

Ciò che stupisce è il fatto che in queste pseudo-relazioni amorose che fanno soffrire, che non sono ricambiate, che si basano sulla violenza dell’uomo nei confronti della donna, riesce difficile concludere e voltare pagina. Ci si culla nell’illusione e nella speranza che prima o poi tutto si sistemerà, che prima o poi lui non metterà più in atto certi comportamenti e che cambierà in meglio. È così che la parola fine viene sempre più evitata, scongiurata, allontanata e si continuano ad accettare sofferenza, angoscia e paura. Rimanendo legati a quel filo di speranza che, di giorno in giorno, diventa sempre più sottile.

Intanto il tempo passa e tutto ciò finisce per logorare sempre più ogni parte vitale, annichilire ogni piacere, spegnere ogni emozione positiva. Il non prendere consapevolezza dell’impossibilità di una relazione del genere, il non voler ammettere a sé stessi che non si tratta di amore ma solo di dominio, sfruttamento, controllo e violenza, e il non volerne accettare la conclusione, catapulta in una disperazione senza fine (S. Lo Cascio). E di conseguenza comporta il tirare per le lunghe una situazione sempre più insostenibile.

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Violenza sulle donne / Riconoscere l'”uomo nero”

C’è chi sostiene che certe donne “se la cerchino”. È come dare in qualche modo una colpa a chi per ingenuità e giovinezza non ha saputo riconoscere l’”uomo nero”. Ma gli uomini neri non mostrano il loro colore quando si approcciano: sono inizialmente teneri e apparentemente disarmati. La violenza non si manifesta immediatamente in modo chiaro ed esplicito. Essa compare in un secondo momento all’interno della relazione, e diventa un’escalation.

Con l’aumentare del tempo si intensifica in frequenza e in modalità. Risulta dunque molto difficile prevederla. C’è anche chi dice che le donne che subiscono violenza “se la meritino”, e che nel loro ingenuo fidarsi ci sia in qualche modo segnato il loro stesso destino. Ma in una relazione d’amore dovrebbe essere naturale e normale affidarsi all’altro. Potrebbe venire spontaneo quindi non dare inizialmente peso ad eventuali piccoli episodi lì per lì considerati insignificanti.

Violenza sulle donne / Cantarella: chiamarlo amore non si può

Movimenti di sensibilizzazione in quest’ambito invitano invece a prendere in considerazione, sin dal primo momento, ogni minima screpolatura del rapporto causata da certi comportamenti ambigui ed ambivalenti che, in fondo, non lasciano poi così serene e che, pertanto, dovrebbero sin da subito far riflettere. Quel che è certo, senza una minima ombra di dubbio, è che in tutti questi casi di relazioni sentimentali definibili tossiche, che intrappolano in situazioni coercitive totalizzanti ed in cicli di violenza ricorsivi, “chiamarlo Amore non si può!”

Abbagliate da promesse rivelatesi poi effimere, o da scuse che arrivano puntuali dopo ogni maltrattamento. Imbrigliate tra le maglie del sentimento di dipendenza emotiva che fa tremare già solo all’idea di poter subire un eventuale abbandono da parte del partner, seppur violento. Non abbastanza sorrette dalla propria autostima e dalla consapevolezza del proprio valore, molte donne finiscono per allontanarsi sempre più dalla loro “natura istintuale”, mettendo a tacere capacità di un’importanza vitale quali introspezione, intuito, lungimiranza, sensibilità, determinazione, sana aggressività e coraggio. Ritrovandosi così indebolite e con una sensazione di inferiorità e fragilità che impedisce loro di andare avanti e compiere quelle scelte decisive che consentirebbero di recuperare il rispetto di sé stesse innanzitutto, e dei propri sogni e desideri.

Violenza sulle donne / Una battaglia quotidiana

La violenza sulle donne va combattuta ogni giorno, attraverso un lavoro di recupero e potenziamento del sistema di allarme che ogni donna possiede dentro sé. Affinché poter ascoltare senza remore il parlare della propria anima, fidarsi delle proprie sensazioni e trovare il “coraggio di decidere”. Richiamando a sé la propria “natura combattiva” per troppo tempo repressa e sopita, ammettendo ciò che già si sa per istinto. Svegliando dal torpore i sensi più intimi ed autentici, e prendendo così coscienza di certi legami malati che è opportuno troncare, prima che sia troppo tardi.

Nonostante la sua apparente sofisticazione, la Donna è una creatura selvaggia che, in qualche modo, continuamente, brama di recuperare questa libertà ancestrale per sentirsi viva e trovare il proprio posto nel mondo (C. P. Estés). Purtroppo capita però che si ritrovi imbrigliata in legami patologici che finiscono, giorno dopo giorno, per uccidere soprattutto la sua anima, a causa di condotte abusanti ricorsivamente messe in atto, che mirano alla soppressione psichica, prima ancora che fisica, del soggetto a cui sono destinate.

Violenza sulle donne / Cantarella: quando entrano in gioco paura e vergogna

Nei casi di violenza nei confronti delle donne da parte dei propri partner, sempre più spesso ci si chiede, ad esempio, perché le vittime non mettano fine ai loro legami patologici.
Il fattore maggiormente immobilizzante è la PAURA, che motiva buona parte dei comportamenti. Paura di non essere credute, paura di ulteriori ripercussioni da parte dei partner qualora si denunciasse la situazione, paura per l’incolumità di eventuali figli, paura di non ricevere risposte adeguate alla propria richiesta di aiuto.

Anche la VERGOGNA influisce sulla maniera di gestire la violenza. Ci si vergogna profondamente dei maltrattamenti subiti come se fossero la prova di avere fatto qualcosa per meritarli. Ciò impedisce di cercare un supporto al di fuori della relazione, e impone alle vittime l’assoluta “segretezza” sulla violenza subita, anche nella speranza di evitare stigmatizzazioni. Il SENSO DI RESPONSABILITÀ di quanto di brutto accade contribuisce a far rimanere imbrigliate tra le maglie di certe relazioni tossiche. Questo in quanto si è fermamente convinte che le reazioni violente del partner dipendano dai propri comportamenti. Se ci si comportasse bene non succederebbe niente di cattivo.

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Violenza sulle donne / Il senso di colpa che mina l’autostima

Ciò appare inevitabilmente legato al SENSO DI COLPA, che nasce quando ci si permette anche solo di pensare a qualcosa di negativo sull’uomo che, nonostante tutto, si ama.
Quasi sempre si tratta di donne sin da piccole alla ricerca perenne di affetto e approvazione. Donne che però tutti hanno sempre colpevolizzato attribuendo loro la responsabilità di tutto ciò che non andava bene. Visto che la colpa è sempre loro, la “responsabilità” di chi attua il maltrattamento non viene MAI messa minimamente in discussione. Il carnefice viene sempre e comunque giustificato, difeso e protetto.

Cresciute credendo di dover sempre rispettare e servire gli altri e di non dover mai mettere le proprie esigenze al primo posto, queste donne cercano in ogni occasione di accontentare, obbedire e compiacere il proprio partner. Impegnandosi così in un’impresa impossibile e destinata a fallire. Tutto questo riduce in maniera significativa l’AUTOSTIMA. Gli abusi subiti sono il segno evidente del fallimento del proprio amore e della propria vita. Così, cercando comunque di obbedire alla regola secondo la quale è compito della donna mantenere l’immagine di una famiglia felice ed unita, le donne vittime di violenza rimangono letteralmente paralizzate nella presa di decisioni ed incapaci di proteggersi. Nel tentativo disperato di tenere in piedi una “finta armonia” ad un prezzo molto alto, che nelle situazioni più tragiche costa la vita stessa.

Violenza sulle donne / Cantarella: chiamarlo amore non si può

Per uscire dalla vittimizzazione le donne abusate devono mutare, necessariamente e il più presto possibile, taluni atteggiamenti. Dal mantenere il silenzio per proteggere lui, al cominciare a parlare per proteggersi. Dal pensare ai momenti di grande amore (che comunque sono presenti, alternativamente agli episodi di violenza), al capire che l’amore non basta come compensazione. Ancora dall’ essere sole e senza appoggi, al ricollegarsi con parenti, amici e figure specializzare che possono aiutare a tirarsi fuori (tra cui psicologi e psicoterapeuti). Infine dall’avere paura, essere insicure e dipendenti, all’essere forti, coraggiose ed autonome.

È questo il processo di “Empowerment” che si attiva durante appositi percorsi terapeutici che gli specialisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia sono pronti ad avviare con le donne vittime di violenza (in seguito ad un’accoglienza delle stesse nelle fasi di forte emergenza emotiva e ad un primo contenimento della drammaticità di certe situazioni), attraverso il quale poter acquisire la forza di modificare o lasciare le relazioni abusive e poter elaborare, con il supporto di professionisti specializzati, le dinamiche di relazioni malate per un evitamento di future situazioni simili.

Violenza sulle donne / L’importanza di un supporto psicologico

Solo così “la donna si trasformerà da una persona debole e senza carattere ad una persona che ha avuto il coraggio di chiedere aiuto, di far venire allo scoperto la violenza, di riscrivere la propria storia, di superare la violenza e di uscire fuori dalla difficile situazione di vittima” (R. Galante).

  •  Non ci sono giustificazioni per le violenze.
  • È responsabile colui che compie il comportamento violento, mai chi lo subisce.
  • Una donna sceglie un uomo con cui avere una relazione, mai la violenza.
  • Le donne vittime di violenze possono, col giusto aiuto e con un adeguato supporto, uscire da tali situazioni e “riscrivere la propria storia”.

Questi i principali imperativi che muovono il lavoro dell’intera equipe di professionisti del Pronto Soccorso Psicologico-Italia che, in questi casi, è orientata principalmente ad ascoltare incondizionatamente le vittime di tali episodi di violenza. Per iniziare dei percorsi che smontino innanzitutto la dipendenza che esse hanno nei confronti dei soggetti maltrattanti. Recuperando gradualmente la propria autostima e riprendendo piano piano un buon giudizio di sé stesse, e con essi la forza ed il coraggio di tagliare i fili che le tengono legate all’interno di rapporti patologici.

D’altronde “il modo più comune in cui le persone rinunciano al proprio potere è pensare di non averlo” (Alice Walker). Appare quindi fondamentale rendere la donna capace di acquisire il “concetto di potere”. Fino a sentire di possederlo e di poterlo infine mettere in atto, acquisendo in tal modo piena consapevolezza di un proprio diritto che mai nessuno dovrà e potrà permettersi di negarle.

pamela cantarella

Dott.ssa Pamela Cantarella

Psicologa Clinica, Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia

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