Il ritiro sociale determina una preoccupante e moderna forma di involuzione dell’uomo, da “essere relazionale” ad “auto-recluso”. Il fenomeno riguarda soprattutto quei ragazzi che, ad un certo punto della loro esistenza (prevalentemente durante la fase adolescenziale), decidono volontariamente di abbandonare la scuola, le relazioni amicali e tutti i contatti sociali, per rinchiudersi nella propria camera, auto-negandosi la possibilità di vivere “in relazione” con gli altri. La chiusura avviene anche nei confronti dei propri familiari. Con i familiari ci si rifiuta di avere ogni tipo di contatto, sebbene si viva tutti dentro una stessa casa.
Il Ritiro Sociale / La dinamica dell’auto-reclusione
Le dinamiche che portano questi soggetti a chiudere con il mondo e scegliere la solitudine, individuando nella propria camera l’unico spazio vitale, sono tante e diverse. Ognuno di loro ha la sua storia ed una sofferenza unica e personale; anche se sono stati individuati dei “nuclei comuni” legati soprattutto ad un’incapacità dei giovani di oggi di mostrarsi all’altezza delle complesse richieste di una società sempre piú esigente e competitiva.
Il Ritiro Sociale è un fenomeno recente che, partito dal Giappone, si è spostato anche in Occidente. E’ giunto sino all’Italia dove, seppur con alcune differenze legate alla diversità culturale dei Paesi, si sta parecchio diffondendo soprattutto negli ultimi anni.
Ciò che colpisce è la “spontaneitá” con cui avviene la dinamica dell’auto-reclusione. Quest’ultimo incomincia quasi sempre con il ritiro scolastico, per poi passare al graduale abbandono di tutte le relazioni sociali. Si arriva fino ai propri familiari con i quali si vive dentro la stessa casa. Con loro non ci si relaziona piú, scegliendo l’”isolamento totale” all’interno della propria camera. Volendo usare una metafora esemplificativa la si potrebbe immaginare come “una gabbia chiusa dall’interno” dalla quale si decide e si sceglie, consapevolmente ed autonomamente, di non uscire piú.
Ritiro Sociale / L’uomo nasce come “essere razionale”
Tutto ciò appare parecchio paradossale ed angosciante. Gli esseri umani sono “intrinsecamente sociali”, e si plasmano interagendo e rispecchiandosi con gli altri, sin dalla propria nascita. Sin dall’origine, infatti, la vita di ogni individuo è ricerca di Relazione, a partire da quel rapporto unico e speciale con la propria madre, che comincia ancor prima della venuta al mondo, giá all’interno del ventre materno. Da allora le Relazioni attraversano tutta l’intera vita di ogni soggetto. Quest’ultimo, nel corso della propria esistenza, si troverá contemporaneamente coinvolto in diverse tipi di rapporti, con persone diverse. Genitori, fratelli, parenti, compagni di scuola, amici, partner, figli, colleghi di lavoro…
Dall’antichità ad oggi l’accento sulla necessità delle relazioni sociali è stato sempre evidenziato: da Aristotele che, nel IV secolo A. C., sosteneva che “l’uomo è un animale sociale”,alla Genesi (2,18): <<Poi l’Eterno Dio disse: “Non è bene che l’uomo sia solo; io gli farò un aiuto conveniente a lui”>>,sino ad arrivare alle teorie scientifiche più attuali che testimoniano la necessità e l’importanza dell’”appartenenza” (Baumeister, Leary et all.).
Il “bisogno di appartenenza” viene annoverato tra quelli “fondamentali” nella piramide di A. Maslow e, nella famosa gerarchia, si trova subito dopo i bisogni “fisiologi” legati alla sopravvivenza. L’appartenenza nasce in famiglia. E’ “affetto e lealtà” nei confronti di un sistema che dá la vita ed il nome, e con cui si accumulano migliaia e migliaia di interazioni.
Le relazione sociali sono fondamentali per la sopravvivenza
Sentirsi parte di un gruppo è di “conforto”, ma soprattutto permette di non sentirsi soli ed in pericolo; è quindi fondamentale sin dalle primissime tappe dello sviluppo e nella vita di tutti i giorni, in quanto tutela nei bisogni primari di “sicurezza e protezione”. Le relazioni sociali sono dunque fondamentali per la “sopravvivenza” dell’individuo. Quest’ultima è data, oltre che dalla soddisfazione dei suoi bisogni fisiologici, anche dal suo inserimento all’interno di un ambiente di vita positivo ed adeguato; ma risultano anche molto importanti per il mantenimento di uno stato di benessere psicologico, che appare ampiamente condizionato proprio dalle interazioni, dalle connessioni e dai legami che l’individuo intesse durante la sua esistenza.
Il Ritiro Sociale / Crisi evolutiva adolescenziale
Ecco perché il Ritiro Sociale viene considerato e rappresenta uno degli esiti più pericolosi e angoscianti della crisi evolutiva adolescenziale. Consiste in uno “scivolare nel vuoto e nel silenzio, ponendosi punto di confine tra l’esistenza stessa e la sua negazione”, (D. Tortorelli, 2023). Gli studi e le ricerche condotti in questo ambito sostengono che il ritiro sociale si manifesti soprattutto in quei giovani che cominciano a sentire il compito evolutivo di diventare adulti come troppo impegnativo. Non si consideranio all’altezza delle richieste provenienti dal mondo esterno. Iniziano ad avvertire la necessità di “prendersi una pausa”mettendo contemporaneamente in atto una ricerca attiva di “esperienze al chiuso”. Quest’ultime possano almeno rimandare l’impatto diretto con tutto ciò, che si immagina come fortemente fallimentare.
Si sostiene che, almeno in un primo momento, l’auto-reclusione rappresenti un tentativo di sosta. E’ un riparo temporaneo dalle richieste di una società sempre piú complessa, piú competitiva, piú arrogante, di fronte alle quali non ci si sente psicologicamente pronti ed adeguati per rispondere nel giusto modo. C’è da dire che, a questo proposito, “i giovani di oggi risultano eccessivamente protetti dalla famiglia, sempre meno inclini ai sacrifici e meno sensibili a diventare indipendenti; tutti elementi che possono favorire la “resa finale”, cioè il ritiro sociale, (C. Ricci, 2008).
Chi ricerca il ritiro sociale non si sente adatto
Quando un giovane comincia a pensare di ritirarsi socialmente fra le cause c’è certamente un senso di “prostrazione psichica”. Chi ricerca il ritiro sociale sostanzialmente è stanco, e vuole prendersi una pausa. È stanco a volte fisicamente, ma sostanzialmente è stanco di non sentirsi “adatto” ed all’altezza di situazioni che richiedono “continue ed elevate capacità di performance”. Quasi come se il proprio valore dipendesse unicamente da una “valutazione” del proprio successo o fallimento di fronte a tutto ciò.
Situazioni tendenti dunque a favorire stati psicologici di incertezza, insicurezza e disorientamento che, per i soggetti emotivamente più esposti, possono rappresentare una “spinta decisiva” verso il ritiro. Da un’idea iniziale di “temporaneitá”, alla lunga, si verifica però una sorta di “incastro” che non permette piú di uscire.
Dal ritiro sociale al suicidio sociale
Con il passare del tempo non ci si sente affatto riposati e rigenerati. Piuttosto, l’idea del mondo fuori, comincia a creare veri e propri stati di angoscia e timore. Anche solo al pensiero di dover affrontare una realtà della quale non ci si sente, ancora più di prima, all’altezza e parte integrante. Ci si scopre così senza alcun motivo che possa spingere ad uscire, pervasi da sentimenti di impotenza, perdita di controllo e fallimento, e si decide di abbandonare qualsiasi eventuale tentativo di provarci, facendo un atto definitivo di rinuncia e di “suicidio sociale”.
Il ritiro sociale diventa cosí il nucleo primario del funzionamento individuale in soggetti che, capaci di intendere e volere, scelgono di vivere in “anoressia sociale” senza una missione socialmente condivisa e comprensibile, (D. Tortorelli, art. cit.).
Appare paradossale anche “la modalità” con la quale si esprime il disagio descritto. “Oggi, nella società dei selfie e dell’apparire, dove l’attuale tendenza prevede un continuo “mostrarsi”, gli auto-reclusi decidono di uscire dalla scena sociale, nascondendosi e rifugiandosi in una stanza!”
Si tratta innegabilmente di un comportamento controtendenza, altamente provocatorio, che si ritiene rientrare inoltre “in quelle forme di attacco e annullamento del corpo che sembrano stare diventando la principale manifestazione del disagio giovanile degli ultimi anni, che non trova altre forme per essere comunicato”, (M. Lancini, 2022).
Ritiro Sociale / Le dinamiche familiari
Ma ciò che piú bisogna rilevare è che “a colludere” con la situazione fin qui descritta è anche e soprattutto l’intero sistema familiare. Quest’ultimo, nella maggior parte di questi casi, presenta delle caratteristiche ben precise. Non è un caso infatti che questa patologia si diffonda, oltre che in delle società industrializzate dove l’eccellenza viene continuamente prescritta, in “specifici contesti familiari”. Tra le dinamiche familiari disfunzionali ritenute elementi compartecipanti alla genesi di questa problematica sociale si riscontrano molto comunemente:
– atteggiamenti iperprotettivi della madre ed un eccessivo attaccamento che, oltre ad impedire lo sviluppo di un sentimento di fiducia nelle proprie capacità, possono tradursi in un incremento del senso di inferiorità del figlio che rischierá di sentirsi “inadeguato” ad affrontare i compiti sociali;
– un’immagine paterna iper-idealizzata che costituisce un altro elemento di rischio nella misura in cui il giovane, per evitare il fallimento conseguente all’irraggiungibilità del modello paterno, potrebbe rifugiarsi nel suo ritiro sociale alla ricerca di un “senso di sicurezza” che nel mondo non sente di poter trovare;
– aspettative troppo elevate da parte di genitori iper-aderenti agli standard dettati dalla società, che si traducono nella concretizzazione da parte del figlio, di una “chiusura protettiva” data da una sua incapacità di adeguarvisi, in uno scarto tra “desiderato” e “reale” troppo ampio da colmare in altra maniera.
Ritiro Sociale / Il percorso terapeutico
Ecco perché un eventuale percorso terapeutico deve riguardare innanzitutto ed individualmente il “soggetto ritirato sociale”, prendendo in considerazione, soprattutto all’inizio, anche la possibilità di interventi domiciliari e/o di ulteriori “modalità di cura alternative” al colloquio clinico classico in presenza (quali forme di cybertherapy attraverso la Rete); ma non ci si può assolutamente esimere dall’allargare l’approccio anche ai “familiari significativi”. Ci si augura, attraverso un adeguato lavoro terapeutico, che i familiari possano divenire pronti e disponibili a riformulare i loro ruoli. Devono guardare dentro sé stessi con coerenza e sincerità. Bisogna abbandonare le mistificazioni con cui hanno convissuto, di cui spesso non ne sono consapevoli.
Questo sarebbe sufficiente per mettere in movimento un diverso “ambiente emotivo” che influenzerebbe tutti, compreso il figlio auto-recluso(C. Ricci, op. cit.). Permetterebbe di poter intraprendere un percorso che possa riuscire a condurre, sia concretamente che simbolicamente, “oltre” quella porta chiusa, attraverso un avvicinamento lento e graduale della sofferenza di tutti i soggetti implicati, per un’esperienza trasformativa globale che possa fare scoprire sensi e significati lá dove adesso non ci sono.
Psicologa Clinica abilitata,in formazione presso Scuola di Psicoterapia ad approccio Sistemico-Relazionale,Responsabile Settore Comunicazione Pronto Soccorso Psicologico-Italia.