Saggio / Turi Leonardi sulle poesie di Maria Laura Tringale

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Maria Laura Tringale

Pubblichiamo un saggio tratto dall’intervento che Turi Leonardi effettuò, il 30 maggio scorso nella sala Stampa del Municipio di Acireale, in occasione della presentazione del libro di poesie “Gabbiani” della compianta Maria Laura Tringale.

Ho conosciuto Maria Tringale intorno al ‘66, quando da matricola cominciai a frequentare la FUCI. Lei stava concludendo il suo mandato di Presidente femminile del Gruppo. Stabilii con lei un rapporto di cordialità, segnato, nel mio ricordo, dal suo sorriso amicale, aperto, quieto e accattivante.

Ho letto le poesie di Maria, a partire da questa solidarietà antica, generata innanzitutto dalla comune fede professata. E’ stata per me una sorpresa. In questi componimenti, talvolta brevi, articolati in brevi versi, non convenzionali e molto intensi, ho colto l’espressione sincera di una spiritualità profonda e rigorosa; di una elevata sensibilità; di una visione disincantata del mondo; e, qua e là, ho colto talvolta – anche solo attraverso un aggettivo – delle ombre, momenti di tristezza, di difficoltà, pur associati alla speranza. Insomma, dietro quel sorriso sereno c’era una persona delicata, una spiritualità sofferta.

Nelle poesie di Maria Laura Tringale la sua dimensione spirituale

Fra le tante belle poesie, alcune, secondo me, rivelano più esplicitamente i contenuti della fede di Maria, che era entrata a far parte dell’Opus Dei, l’istituzione ecclesiale fondata da san Josemaría Escrivá de Balaguer per «diffondere il messaggio che il lavoro e le circostanze ordinarie della nostra vita sono occasione di incontro con Dio e di servizio al prossimo, per il miglioramento della società». Siamo quindi nella linea dell’impegno per la costruzione della città dell’Uomo, richiesto ai laici dal Concilio Vaticano II. Ovviamente, con le specifiche sottolineature proprie di questa Istituzione, concernenti la cura della dimensione interiore e la formula organizzativa.

Ho cercato di capire come Maria abbia vissuto questa sua dimensione spirituale. Mi è sembrato di cogliere nelle sue poesie una fede dolorosamente consapevole dei tradimenti e delle manipolazioni che il mondo ne fa, che si riconosce nel Cristo crocifisso, e che si fa forza mantenendo comunque la speranza. Mi soffermo, in particolare, su due poesie.Maria tringale

 Poesie di Maria Laura Tringale: Piccole cose

PICCOLE COSE: “Il diavolo tempera grimaldelli / Con le debolezze dei buoni; / come rocciatore s’appiglia / per scalare fortezze inespugnabili, / agli spuntoni dell’amor che noi / ci attribuiamo / e tesse camicie di forza / con pochi fili di trascuratezza”.

In questa breve poesia la spiritualità rigorosa di Maria, in linea con il pensiero di san Josemaría sulla trascuratezza, è esposta in termini netti. Le “piccole cose” sono i limiti che a noi credenti sembrano trascurabili. E a cui tante volte non facciamo attenzione, ma che in realtà ci espongono alla tentazione. Maria ci avvisa usando tre immagini:

  • “le debolezze dei buoni” danno al diavolo la possibilità di entrare in loro, usando dei “grimaldelli”, che ha opportunamente temperato per renderli più solidi e flessibili. In modo da riuscire a scardinare le porte delle loro resistenze.
  • pensiamo di essere al sicuro nelle nostre fortezze che riteniamo inespugnabili, ma il diavolo è un abile rocciatore, e riesce a scalarle, appigliandosi via via agli spuntoni, che sporgono dalle pareti della roccia. E che siamo noi stessi a creare con “l’amor che noi ci attribuiamo” (interpreto: la nostra convinzione di amare abbastanza);
  • infine, il diavolo ci imprigiona in camicie di forza, che tesse utilizzando il filo che noi stessi gli forniamo: e a lui bastano “pochi fili di trascuratezza”.

Poesie di Maria Laura Tringale: Egloga

EGLOGA: diverso è lo stile di questa poesia, di ben 46 versi: è un dialogo dai toni accorati tra un viandante (che, cacciato dalla sua terra, ha molto sofferto), e un pastore, che gli dà parole di speranza.

Il viandante, che vive una vita di sofferenza, chiede al pastore: “qual è il segreto della tua felicità?”, e poi come “affoghi la pena della tua piccola vita?”. Gli chiede: “forse vivere lontano dagli uomini?” oppure contemplando la bellezza della natura come “il canto degli uccelli”, il “brillare degli astri”?

Il Pastore risponde: “Viandante, la mia gioia è nell’attesa di Uno che è passato facendo il bene; nei suoi occhi mille soli, il suo sorriso accendeva i ghiacciai, ha detto che tornerà”. Parla di Gesù.

La risposta del viandante è intrisa di tristezza: “Amico, il tuo Amico l’ho visto, in un tramonto di fuoco, pendeva alle porte della città. L’Innocenza è stata inchiodata alla croce coi briganti, la Speranza è scesa nel sepolcro, chi ne solleverà la pietra?”.

E il Pastore conferma la sua speranza, che va al di là di quello che è stato visto: “Il Cielo s’è chinato sul pozzo della notte. Tre donne l’hanno gridato: il mio Amico non è più tra i morti. La terra è troppo piccola per fare da sgabello ai suoi piedi, l’universo non può contenere l’eco di una sua parola”. Così: “ha scelto il cuore dell’uomo per farne un giardino di delizia”.

Così, Maria chiude la poesia mettendo in bocca al pastore parole di speranza che sembrano andare anche al di là delle parole della Bibbia. In Isaia 66,1 leggiamo: “Così dice il Signore: Il cielo è il mio trono, e la terra è lo sgabello dei miei piedi” e in Mt 5, 33-37 Gesù dice: “Ma io vi dico: non giurate affatto, né per il cielo, perché è il trono di Dio, né per la terra, perché è lo sgabello dei suoi piedi”. Il giardino di delizia è il giardino dell’Eden, dove Dio pose Adamo ed Eva (Genesi 2-8,15,16; 3-8,23,24) che poi ne furono cacciati.

Il Pastore, da parte sua, afferma che per il suo Amico (Gesù) la terra e l’universo sono troppo piccoli, e che Lui ha scelto il cuore dell’uomo per farne un nuovo Giardino dell’Eden, la Sua dimora.

E’ come se Maria avesse maturato una visione del mondo così disincantata e critica da spingerla a spostare la sua speranza oltre/sopra il cielo e la terra. Una speranza contro la speranza, spes contra spem: come espressione di una fede incrollabile in un futuro migliore, che non abbandona l’aspettativa, neanche quando le circostanze concrete sono così avverse da indurre a credere, al contrario, alla perdita di ogni speranza (era il motto di Giorgio La Pira). Almeno, questo è stato il messaggio che ho raccolto da questi versi.
Cara Maria, grazie!

Salvatore Leonardi

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