Teatro Massimo Bellini / Il fascino esotico della Turandot di Puccini: dal sacrificio all’amore

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Turandot I ministri imperiali Ping Pong Pang

Se è possibile “imprimere su candide pagine una realtà immaginifica”, è pensabile invero narrare e cantare la bellezza di un’overture lirica. Così, sarà possibile tessere una trama dorata in cui incastonare parole come perle. Seguendo le fila di questo ricamo d’ingegno, si ritrova Turandot, opera pucciniana che avvince e incanta! Puccini, mediante il suo artificio letterario, restituisce ancora oggi al grande pubblico un’opera altera, tratta da antiche fiabe orientali.

Turandot è, poi, l’incompiuta di Puccini, dotata di una prodigiosa coerenza interna, come dimostrano le diverse edizioni che seguono l’esempio di Toscanini.
La contemporanea edizione catanese, presentata al Massimo Bellini di Catania, ripercorre varie intersecazioni suggerite, tra le altre cose, dalla genesi dell’opera. Di essa è lapalissiana la straordinaria evoluzione stilistica della partitura. Nel suo tempo, inoltre, Giacomo Puccini fu attratto dalla voga per l’esotismo. Egli studiò le autentiche melodie cinesi e utilizzò temi dal carillon del barone Fassini.Turandot, terzo atto

Il fascino esotico di Turandot

Il libretto, firmato a quattro mani dai poeti Giuseppe Adami e Renato Simoni, venne ripreso da Puccini. Quest’ultimo era avvinto dalla vicenda ambientata «A Pekino al tempo delle favole», nonché dall’idea di dare voce al coraggio e all’ossessione di Calaf. Principe esiliato e in incognito, d’improvviso brama l’amore per la divina bellezza della principessa Turandot! Calaf è talmente incantato da Ella da non temere di finire sotto la mannaia del boia. Detto giustiziere ha già colpito i nobili pretendenti, incapaci di risolvere i tre enigmi sottoposti da Turandot. Ma Calaf ha tutte le risposte: sangue, speranza e soprattutto ancora e sempre Turandot. Ha vinto e tuttavia rilancia di fronte alla riluttanza della donna, dichiarandosi nuovamente pronto a morire se lei saprà scoprirne il nome.

Superba è stata la celebre romanza per tenore di “Nessun dorma”, eseguita dal principe tartaro Calaf. Una notte illuminata dalla luna apre l’atto finale. Qui tutti vegliano, secondo il volere di Turandot. Ella, ante le prime luci dell’alba, deve scoprire il nome del principe. Se Turandot indovina il nome di Calaf, potrà condannarlo a morte, diversamente dovrà sposarlo. Egli, nella solitaria notte di Pechino, attende l’aurora di un nuovo giorno, quello in cui vincerà l’amore consacrato alla già amata Turandot, bellissima principessa di ghiaccio. In tutto ciò, si testimonia il sacrificio di Liù, schiava fedele, capace d’impartire lezioni d’amore e fedeltà. Anche nel momento della tortura, manterrà segreta l’identità del principe tartaro. Ella è, in più, colei che si è presa cura del re Timur, padre di Calaf.

L’Amore trionfa

Il principe riesce infine a rubare un bacio a Turandot, che si abbandona così a Calaf. Il principe decide allora di donarle il suo destino, confidandole il suo nome poco prima che albeggi. Difatti, “All’alba vincerà l’Amore!”
Sulla piazza antistante il palazzo imperiale, Turandot dichiara alla folla di conoscere il nome del principe ignoto: il suo nome è “Amore”.
La morale della narrazione riverbera nell’intendimento secondo cui “la violenza non si ripara con altra violenza, ma si purifica nell’esplosione ancora più deflagrante dell’Amore”.allestimento Turandot

In chiosa, l’opera pucciniana, nella rivista versione finale, firmata da Luciano Berio, ha visto sul podio Eckehard Stier. La regia poi è stata curata da Alfonso Signorini. Orchestra e Coro sono dell’ente lirico etneo.

Tra gli interpreti dell’opera – per le varie repliche – si reiterano i soprani Daniela Schillaci e Anastasia Boldyreva, alternatesi nel title role. Ed ancora, i soprani Elisa Balbo e Cristina Arsenova nella veste di Liù. Si sono susseguiti sulle scene anche i tenori Angelo Villari e Marco Berti, per l’interpretazione del principe Calaf. Ed ancora, i bassi George Andguladze e Gianfranco Montedoro, per il ruolo di Timur.
In più, il tenore Vincenzo Taormina, il baritono Salvatore Pugliese e il basso Blagoj Nacoski hanno interpretato rispettivamente i dignitari imperiali Ping, Pang e Pong. La compagine del cast è stata completata con il tenore Mario Bolognesi nella veste dell’imperatore Altoum e il basso Tiziano Rosati nel ruolo di un mandarino.

Luisa Trovato

 

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