Emergenza spirituale / Don Carmelo Raspa: “Viviamo la vita: è l’unico potere che abbiamo”

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L'albero della vita

In questo Venerdì Santo, mentre noi in casa adempiamo i nostri doveri religiosi e, comodamente seduti dinanzi agli schermi dei nostri computer, ci sforziamo di trovare frasi ad effetto e parole adatte per esprimere la nostra presunta grandezza di pensieri cosiddetti spirituali, in una sorta di gara silenziosa a chi riesce a pronunciare lo slogan migliore, la via della Croce è percorsa da tanti crocifissi che soffrono e muoiono soli, mentre il gelo della morte dagli obitori e dalle chiese, dove sono composte le salme, abbraccia i loro cari lontani. Nessun abbraccio, nessuna consolazione.

Don Carmelo Raspa

Nulla. Il vuoto della morte è abitato sino all’estremo e sull’abisso si spalancano gli occhi dei morenti e dei loro cari. Lì accanto, medici e infermieri, stanchi, ma mai arresi, senza tempo cercano di ricondurre al tempo della vita gli ammalati, recuperando terreno sulle ore della morte. E ancora, uomini e donne stanno lì, a faticare, rischiando, per assicurarci la serenità degli atti quotidiani del vivere. Altri, vivono la disperazione di un futuro incerto, dove il lavoro, già precario, adesso è assente: il pane quotidiano invocato comincia a  mancare. E, insieme al pane, forse anche un tetto dove abitare.

Sono loro a vivere pienamente quello che Bonhoeffer chiama il pieno essere – aldiquà della vita, lì dove si impara a credere. Sì, perché la fede sorge da un cuore che ascolta e fa la Parola: un cuore radicato talmente nella storia da scorgervi la presenza di Dio nella sua trama complessa e contraddittoria, a volte anche oscura, peccaminosa. Una presenza che egli fa emergere attraverso il suo dire e le sue azioni, pur non sapendolo. Bonhoeffer scrive : “Quando si è completamente rinunciato a fare qualcosa di noi stessi – un santo, un peccatore pentito o un uomo di Chiesa (una cosiddetta figura sacerdotale), un giusto o un ingiusto, un malato e un sano – , e questo io chiamo essere-al di qua, cioè vivere nella pienezza degli impegni, dei problemi, dei successi e degli insuccessi, delle esperienze e delle perplessità – allora ci si getta completamente nelle braccia di Dio, allora non si prendono più sul serio le proprie sofferenze, ma le sofferenze di Dio nel mondo, allora si veglia con Cristo nel Getsemani, e, io credo, questa è fede, questa è metaénoia, e così si diventa uomini, si diventa cristiani (cf Geremia 45)”.
Sono uomini e donne che non bandiscono proclami, non ostentano un credo, ma abitano il mondo: vivono. Altri, di fronte a loro, lamentano l’impossibilità di un viaggio, di prendere un caffè al bar, di andare al cinema o – cosa scandalosa – di non poter celebrare i riti in un certo modo, rifiutando altre espressioni che in questo tempo si impongono come perennemente esistite in una tradizione di fede, ma che sono state dimenticate o trascurate, spesso volutamente.

L’albero della vita

È questo l’unico potere che abbiamo, quello che ci viene donato dall’Alto, perché per il resto non abbiamo nessun potere, secondo le parole di Gesù a Pilato che suonano come monito per ogni credente: “Tu non avresti nessun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall’alto” (Gv 19,9). L’unico potere che abbiamo è quello di prendere sul serio le sofferenze di Dio nel mondo. Abbiamo, cioè, il potere di custodire un grande silenzio, quello cui siamo ricondotti a forza in questi giorni, il silenzio della mormorazione e della ribellione (cfr Es 17), ma anche quello dell’estasi dell’incontro d’amore e di una parola nuova che in esso germoglia (cfr Ct 8). Abbiamo il potere di preghiere intime, familiari, di una liturgia del quotidiano (cfr At 2,42-48). Abbiamo il potere di spogliarci di quanto abbiamo per vivere per donarlo al Tempio del fratello e della sorella che non hanno nulla, nemmeno la speranza (cfr Mc 12,41-44). Abbiamo il potere della profezia che denuncia i mali presenti, ma muove all’impegno, anzitutto del profeta stesso, per progettare un futuro altro.
Abbiamo il potere del lavoro, assiduo, faticoso, lontano da ogni pigrizia, per esercitare la nostra custodia e la nostra responsabilità sul mondo. Abbiamo il potere del riposo, del ritrovarsi, in gesti semplici e gratuiti. Abbiamo il potere della conversione, non eroica, non presuntuosa, ma umile, che sa fare del fallimento una nuova possibilità. Abbiamo il potere stesso di morire, donando lo Spirito, come Gesù, perché tutto è compiuto, perché tutto si compia (cfr Gv 19,30).

Carmelo Raspa

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